Cina, il nuovo ministro degli Esteri: “Gli Usa vogliono sopprimerci, così si va allo scontro”
Cina e Stati Uniti sono destinati allo scontro se Washington non cambierà il proprio approccio: è l’avvertimento lanciato dal nuovo ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, nella sua prima conferenza stampa da quando si è insediato.
“Gli Stati Uniti affermano di voler competere con la Cina e non cercano il conflitto. In realtà, la loro cosiddetta competizione mira a contenere e sopprimere la Cina sotto tutti i punti di vista”, ha detto Qin, parlando a margine dei lavori dell’Assemblea nazionale del popolo. “Stati Uniti e Cina si avviano verso un conflitto e un confronto inevitabile se Washington non cambia approccio. Chi ne sopporterà le conseguenze catastrofiche?”, le dure parole del neoministro, con un passato da ambasciatore proprio a Washington. Un monito lanciato già ieri da Xi Jinping, secondo cui “l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, ha attuato un contenimento, un accerchiamento e una soppressione della Cina che hanno portato a sfide senza precedenti per lo sviluppo del nostro Paese”.
Nel suo intervento, il ministro ha delineato la politica estera cinese per i prossimi anni, difendendo il rapporto con la Russia dalle critiche delle cancellerie occidentali. Se i due paesi “lavorano insieme, il mondo avrà una forza trainante verso il multipolarismo e una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali” mentre “l’equilibrio strategico globale e la stabilità saranno meglio garantiti”, ha detto Qin, parlando di una relazione basata sui principi “di non alleanza, non confronto e non presa di mira di terze parti”, che , proprio perché “non minaccia alcun paese, non è soggetta ad alcuna interferenza o discordia seminata da terzi”.
Pechino “non ha fornito armi ad alcuna delle due parti del conflitto ucraino”, ha poi affermato, accennando a “una mano invisibile” che “usa la crisi ucraina per servire certe agende geopolitiche”. “È una tragedia che poteva essere evitata: la Cina sceglie la pace sulla guerra, il dialogo sulle sanzioni” e la de-escalation all’escalation”, ha notato ancora l’ex ambasciatore, il quale ha ribadito che la Cina “non è l’artefice della crisi, né una parte direttamente interessata”. “Perché minacciare allora le sanzioni alla Cina? Non è assolutamente accettabile”, ha sottolineato Qin, diventato ministro lo scorso dicembre dopo l’elezione di Xi Jinping a uno storico terzo mandato da segretario generale del Partito comunista cinese.
Il ministro ha anche ricordato che la questione di Taiwan “è il fulcro degli interessi centrali della Cina, il fondamento politico nelle relazioni Cina-Usa e la prima linea rossa che non deve essere superata”. “Continueremo a lavorare per la riunificazione pacifica, ma ci riserviamo il diritto di prendere tutte le misure necessarie”, ha avvertito il ministro, che ha portato con sé una copia della costituzione cinese in cui Taiwan viene definita una parte “sacra” della Cina. “Nessuno dovrebbe mai sottovalutare la ferma determinazione, la forte volontà e la grande capacità del governo e del popolo cinesi di salvaguardare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”.
Nella conferenza stampa non è mancato un riferimento al caso del pallone aerostatico recentemente transitato nello spazio aereo americano e abbattuto. Gli Stati Uniti “hanno agito con una presunzione di colpa, reagito in modo eccessivo, abusato della forza e drammatizzato l’incidente”, ha detto Qin, che ha parlato di “incidente inaspettato”.
Il numero 2 della diplomazia cinese, dopo il responsabile Esteri del partito Wang Yi, ha anche difeso i risultati ottenuti dallo sviluppo cinese, i quali “smontano il mito secondo cui la modernizzazione è occidentalizzazione”.