Cile, continuano le proteste. Gli attivisti: “Terribile vedere i militari in strada”
“L’aumento del prezzo del biglietto della metro è stato l’ultima goccia. Oggi in Cile si sta lottando contro le diseguaglianze sociali ed economiche che colpiscono il paese”. Mariela è un medico. Sta partecipando a una manifestazione di protesta contro il presidente Sebastian Piñera, organizzata davanti alla sede del consolato del Cile a Buenos Aires. In Argentina è venuta per prendere parte a un corso di specializzazione ma è bloccata in città perché i voli diretti a Santiago sono stati cancellati.
“Lavoro come traumatologa. Abbiamo assistito a una riduzione del bilancio nel settore della salute pubblica. Non abbiamo nemmeno gli strumenti per operare e medicare. E il Governo ha annunciato altri tagli”, continua. “Nell’ambito dell’educazione è lo stesso. Per studiare ci dobbiamo indebitare. Sto ancora pagando il mio debito universitario e mi sono laureata quindici anni fa. Ho pagato tre volte quello che mi sono costati gli studi superiori. Gli stipendi sono bassi: in generale, la classe media guadagna fino a 800mila pesos al mese, troppo poco per riuscire a mantenere una famiglia”.
Le proteste sono iniziate dopo l’annuncio dell’aumento dei biglietti della metropolitana di Santiago fino a 831 pesos (circa 1 euro). Gli scontri si sono verificati venerdì 18 quando i manifestanti, per la gran parte studenti universitari e delle scuole superiori, hanno colpito alcune stazioni della metropolitana della capitale. La polizia ha risposto con gas lacrimogeni e cariche. “Le proteste sono state prevalentemente pacifiche. Sì, ci sono stati momenti di tensione ma solo dopo l’arrivo delle forze dell’ordine, anche se i media ufficiali non lo raccontano”, continua Mariela.
Venerdì notte Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza a Santiago, e ora anche in altre città del nord e del sud del paese, e ha garantito poteri straordinari alla polizia e all’esercito, nominando il generale Javier Iturriaga responsabile delle operazioni. E stato imposto il coprifuoco, una misura che non veniva presa dalla dittatura di Augusto Pinochet. Secondo i dati ufficiali, gli scontri hanno causato almeno undici morti. Sono state arrestate quasi 1500 persone. Piñera non ha esitato ad affermare che il paese sta vivendo una “guerra”, un conflitto contro un “nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno”.
“Siamo usciti da una dittatura ma non siamo mai stati in democrazia. Il Governo non garantisce il diritto alla salute e all’educazione, e nemmeno la libertà di espressione”, spiega Daniela, una studentessa di arte che ha lasciato il Cile per continuare a formarsi a Buenos Aires, dove vive da cinque anni. “Quello che sta succedendo nel paese, ci ricorda gli anni di Pinochet E’ terribile, e fa paura, vedere i militari in strada. Piñera tratta i manifestanti come delinquenti e non ascolta le loro richieste. Non protegge i suoi cittadini”.
Il Cile di Piñera, eletto con i voti della destra post-pinocherista e dei nostalgici del regime militare alla fine del 2017, ha un livello di diseguaglianza tra i più elevati al mondo. Secondo i dati elaborati dalla Banca mondiale, è il secondo stato più diseguale al mondo. Prima, solo il Qatar. Stando a un rapporto dell’Ocse, il Cile è ultimo tra i paesi membri per l’impatto delle misure pubbliche (imposte, sussidi, detrazioni fiscali e incentivi) sulle disuguaglianze. Il welfare è inesistente.
“Ho lasciato il paese da un mese perché non offre alcuna possibilità”, dice Paris, una donna travestita. “Si continuano ad annunciare tagli e i cileni non riescono ad arrivare a fine mese. La precarietà è ovunque. Stiamo facendo di tutto per farlo vedere e per denunciare che ora in strada sono tornati i militari”.
*All’articolo ha collaborato la fotografa Irupé Tentorio