REPORTAGE di Diego Barbera inviato a Christiania, Copenhagen, in Danimarca. “Per favore, non raccontate di Christiania solo per l’erba, ora molte cose sono cambiate”, mi dice l’ormai ultrasettantenne Marc, mentre se ne sta seduto insieme agli amici e compaesani a fumare marijuana sotto un porticato a due passi dal centro di Copenhagen, in Danimarca.
“E come è cambiato?”, chiedo. “Ora è tutto più organizzato, non credo riusciranno mai a ripulire Pusher Street”. Anche nota come Green Light District, questa è la zona dove si mercanteggia erba e fumo in tutte le possibili varietà, forme e prezzi.
Tre cassette della frutta di colore verde legate una sull’altra a fare da banchetto, un ombrellone per proteggersi dalla pioggia che facilmente quasi ogni giorno verrà. Un occhio sulla piccola ma variegata offerta di botticine, fialette, sacchetti di marijuana e panetti di hashish sull’asse di legno.
Un secondo occhio per controllare che gli smartphone dei turisti siano paralleli al suolo e non perpendicolari, per scattare una foto. Questa è la quotidianità dei nuovi venditori di Pusher Street.
Visto che due occhi non bastano ne serve un terzo, e anche buone orecchie, per scrutare e ascoltare oltre i due ingressi di Pusher Street, nel caso che la retata ormai quotidiana della polizia si manifestasse. E se questo dovesse accadere, basta un calcio alla cassetta e un colpo alla corda per chiudere lo spesso panno nero dove riversare la mercanzia come un sacco e darsela a gambe levate.
Gli angeli custodi – se così si possono definire – che proteggono i commercianti di cannabis nella nuova, un po’ triste, versione di Pusher Street sono posizionati in ogni angolo. Fanno da pali e da controllori. La prima e unica vera legge è “Niente foto”: è ripetuto a grande voce e disegnato con un segnale gigantesco sul muro al lato nord e in ogni colonnina: la macchina fotografica è bandita.
Nel caso la si avesse a penzoloni sul collo deve essere riposta nello zaino, mentre quella dello smartphone deve sempre guardare le scarpe. I pali-controllori ne hanno mille di occhi, non si scappa. Non è per vanità, ma è per un motivo molto semplice: se si immortala un venditore e si pubblica un post su Facebook, Instagram o Twitter questi può essere riconosciuto.
Me lo spiega un cinquantenne alto e con labbra sottili. “Non mi chiamo Paul”, si presenta mentre al contempo effettua una scansione tridimensionale dell’ingresso principale di Pusher Street come se fosse una versione umana della fotocamera delle Google Car. “Cosa è cambiato negli ultimi anni? Nella sostanza, niente”.
Non è certo una novità quella delle foto, perché sono sempre state bandite da Pusher Street. Naturalmente ci sono alcune immagini e video che girano sui social o su YouTube, catturate con camere nascoste, ma lo spirito è cambiato drasticamente.
Dall’atmosfera un po’ romantica, a esagerare maledetta, di sicuro libera e aperta, si è passati a un riverbero un po’ desolante all’idea originaria, qualcosa di molto simile a ciò che si può vivere nei parchi cittadini di città presa a campione in tutto il mondo.
Quei mercati non ufficiali dove offerta e domanda si incontrano e incrociano, in una discrezione furtiva, dove non ci si guarda troppo negli occhi e si vuole fare in fretta e avere pochi problemi.
Quanto si paga qui? I prezzi partono da 100 corone (circa 13 euro) per le porzioni e dosi già preparate per velocizzare al massimo la transazione, ma è naturale che si debba giocare al ribasso.
È però bene ricordare che seppur Christiania non sia solo Pusher Street, tuttavia questa ne è un simbolo. E anche un termometro di come molto sia cambiata di recente, ma è doveroso un passo indietro di quasi cinquant’anni.
Che cos’è Christiania? Nasce nel 1971 nel quartiere di Christianshavn, in una zona di Copenhagen estesa per 34 ettari precedentemente destinata a uso militare e poi abbandonata. Un gruppo di squatters danesi lancia l’idea, sbarca e occupa gli stabili e i magazzini, li decora con opere d’arte, costruisce baracche e case prima più semplici e in seguito più elaborate.
Viene proclamata città libera, free town, con proprie leggi e propri ordinamenti. È al centro della capitale, ma è come essere su un’isola lontana decine di miglia dalla costa tanto è il silenzio. La verde Christiania è circondata dall’acqua come un fossato, è un paradiso per gli ornitologi e terreno fertile per runners e ciclisti.
In realtà, però, ci sono tre Christiania. La prima è quella di chi ci vive (l’età media è abbastanza alta, ma sono duecento i bambini) e crede in questo esperimento sociale unico al mondo, che perdura ormai da quasi mezzo secolo. Il colore acceso dei murales è ripreso dall’abbigliamento degli abitanti che si salutano quando si incrociano per strada.
Sono cordiali, ma non danno eccessiva confidenza ai visitatori, soprattutto quando gli si fanno domande pur banali. Anche nei bar o nei negozi i dialoghi sono ridotti ai minimi termini. Agli abitanti si possono fare foto, così come al villaggio e a tutto ciò che non è Pusher Street, ma è cortesia e buon senso chiedere prima il permesso.
Nei primi giorni di ottobre l’enclave di Christiania si è stretta a ricordare un suo celeberrimo abitante scomparso: il cantautore e chitarrista Kim Larsen, simbolo nazionale e amato da almeno tre generazioni, che si è spento all’età di 72 anni e si è sempre speso per difendere la città libera.
Ribelle e avido fumatore (non ha mai digerito il divieto delle sigarette nei locali), nonostante la sua anima agli antipodi del mainstream è stato definito dal primo ministro Lars Loekke Rasmussen, “uno di noi”. E infatti le sue canzoni echeggiavano per le vie e non solo quelle di Christiania.
La seconda Christiania è quella dei turisti che la visitano per le innumerevoli attività, soprattutto estive, con concerti, per assaggiare cibo bio, per assaporare il panorama ribaltato di un disordine e accumulo di oggetti in contrasto con il minimalismo e la pulizia estrema di Copenhagen. E per chi vuole distendersi con una passeggiata o una pedalata girando intorno al villaggio al di là degli argini che fanno da mura.
E poi c’è una terza Christiania, quella della famosa Pusher Street, il mercato “libero” di cannabis in tutte le sue varianti sotto la luce del sole. Una zona condonata e permessa. Almeno fino al 2016 perché dopo tutto è cambiato.
Più precisamente, tutto è cambiato il primo settembre 2016, quando il 25enne Mesa Hodzic ha aperto il fuoco su due poliziotti che stavano compiendo un arresto, ferendone gravemente uno alla testa e in modo più lieve un altro (e un turista straniero che stava raccogliendo bottiglie e lattine) alle gambe.
L’aggressore, ancora armato, è stato poi colpito a morte durante un intervento della Politiets Aktionsstryke, il corpo speciale della polizia, il mattino dopo. Nato in Bosnia e trasferitosi con la famiglia in Danimarca ad appena 4 anni, operava da tempo nel mercato organizzato di cannabis, aveva numerosi precedenti ed era simpatizzante dell’Isis.
È stata la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai più che colmo: quello della pazienza dei cittadini, i cittadini veri, di Christiania. Il portavoce della comunità, Risenga Manghezi, aveva preannunciato la rivolta che si è poi manifestata in modo civile seppur fermo: “Possiamo rimuovere gli stand di cannabis, ma non possiamo assicurare che non torneranno. Abbiamo bisogno dell’aiuto della Danimarca e si deve smettere di comprare erba e fumo qui”. Una profezia avverata e un appello ascoltato solo in minima parte.
Dopo un primo tentativo nel 2004, il 2016 è stato l’anno che ha fatto voltare pagina, con anche la città e le autorità di Copenhagen a dire basta. Ma la situazione è passata dal mercatino tollerato a quello estemporaneo e sopra descritto. Quest’estate le retate della polizia erano all’ordine del giorno. Proprio di quelle forze dell’ordine che fino a quel momento dichiaravano di non avere libero accesso.
Per qualche settimana sembrava tutto finito: lo scorso agosto i giornali raccontavano il cambio della città libera. Libera da Pusher Street. In realtà, diversi abitanti mi hanno raccontato che i pusher sono rimasti operativi sempre, limitandosi a vendere in modo più discreto seppur diretto gli interessati approcciandoli con bisbigli e sussurri dal centro villaggio fino agli argini.
La marijuana era ed è rimasta un collante di questa comunità. Se è vero come è vero che gli stereotipi sono spesso reali, ciò che ci si aspetta varcando la porta principale del villaggio è un forte odore d’erba.
E infatti arriva puntuale, costantemente diffuso per le vie centrali. E viene ripreso e alimentato senza soluzione di continuità certo dai molti turisti, ma anche dagli abitanti lì dalla prima ora, che popolano il centro a conversare per ore intere adagiati sulle panchine.
Sì, come aveva sentenziato Marc sarà molto difficile che Pusher Street venga eradicata del tutto, nei tre giorni che ho visitato il borgo, per tre giorni ho visto la stessa situazione. La domanda di fondo è: Christiania merita una visita?
Risposta breve: merita spenderci qualche ora.
Risposta lunga: merita, passeggiando per la natura silenziosa e dando qualche occhiata alla fauna locale (intesa come animale e umana). Si può assaggiare qualche cibo organico e vegano da Morgenstedet. Si possono visitare i negozi delle tipiche Christiania Bike (come Christiania Smedie) con il carretto davanti in legno dove depositare bambini o casse di birra. O entrambi. E si possono noleggiare bici per circa 13 euro al giorno (e circa 7 per i successivi) da Christiania Rent a Bike vicino a Christiania Smedie e Café Moonfisher.
Merita per gli spettacoli al Musikloppen o i film presso Byens Lys, lo spazio per bambini a Børneteatret e i laboratori artistici di Croquis-værkstedet; c’è addirittura un laboratorio di carpenteria a Både – og.
E merita per i numerosi concerti (come quelli organizzati da Café Nemoland, The Grey Hall o Loppen) e per gli eventi stagionali come il delizioso mercatino di Natale. Ma se si vuole fare del bene al quartiere, è meglio non concentrarsi troppo su Pusher Street limitandosi a un rapido passaggio per dare un’occhiata. E solo quello.
Il consiglio migliore è quello di una visita guidata organizzata dalla stessa comunità: ci si può rivolgere all’ufficio informazioni localizzato appena dopo la porta d’ingresso principale. Un’esperienza 1.0, analogica e sincera.
Per raggiungere Freetown Christiania si può prendere la metro, scendere a Christianshavn camminare un quarto d’ora in direzione sudest verso Dronningensgade. In alternativa, c’è l’autobus 9A fermata Bodenhoffs Plads sempre da Christianshavn oppure il numero 350S da Nørreport St.
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