Professoressa, la fine della Guerra Fredda ha riportato alla luce un discorso centrato sulle identità religiose, ritenuto per gran parte del Novecento obsoleto e ormai superato. Questa nuova era di confronto geopolitico è caratterizzata da quel che Gilles Kepel ha definito la «revanche de Dieu» e, pochi anni più tardi, Francois Thual ha raffigurato come la riemersione del represso. Ci troviamo oggi in una stagione in cui la religione sta trovando un nuovo spazio nella sfera politica quale mitomotore mobilitante?
«La dinamica analizzata da Kepel nel 1994 era quella di un rafforzamento dei movimenti religiosi radicalizzati, quale il fondamentalismo islamico oppure un cristianesimo integralista. Vale ricordare che nello stesso anno fu pubblicato un altro grande classico della sociologia della religione: “Public religions in the modern world” di José Casanova. Lui analizzò il ruolo delle religioni come motore della democratizzazione contro il comunismo e le dittature militari».
«Direi che trent’anni dopo ci troviamo sempre di fronte alla stessa dinamica: le religioni giocano un ruolo nella sfera politica, ma i diversi attori religiosi attualizzano e interpretano il proprio ruolo nei modi più svariati. Gli attori religiosi possono cercare potere politico oppure sostenere la società civile, possono attaccare le società moderne e laiche perché “senza Dio” o invece sentirsi la culla della civilizzazione occidentale. Secondo me bisogna evitare espressioni come “la religione è” o “fa”, perché sono sempre istituzioni e attori precisi che agiscono nel nome di un credo religioso: le chiese, le organizzazioni e le associazioni religiose, i movimenti, gli individui».
A proposito di riemersione del represso, in Russia, dopo il periodo sovietico, vediamo una nuova centralità della Chiesa moscovita.
«Prima di focalizzarsi sulla Chiesa Ortodossa Russa è opportuno ragionare sul contesto religioso dei Paesi ex comunisti. I regimi comunisti erano fortemente repressivi contro ogni espressione di vita religiosa, sia a livello istituzionale sia personale. Questo valeva per tutti Paesi comunisti e tutte le fedi: per la Chiesa cattolica in Polonia, la Chiesa greco-cattolica in Ucraina, le Chiese ortodosse dalla Bulgaria fino in Russia, il Protestantesimo e l’Islam in tutto il territorio sovietico».
«Pochi pensano al fatto che perfino i buddhisti nelle regioni siberiane della Russia sovietica subirono repressioni e persecuzioni. Tuttavia, questa repressione non ha sradicato completamente il sentimento religioso e in varie parti, per esempio in Polonia, fu un motore che ha portato al crollo del regime comunista. In Russia non è stato così. Ritengo che la Chiesa Ortodossa Russa non sia stata una vera forza religiosa che si è opposta al comunismo: era cooptata dal regime sovietico. Lo stesso valeva, pur in modo minore, per l’Islam in Unione Sovietica».
«La fine del comunismo ha rappresentato, senz’altro, un’opportunità di rinascita di vita religiosa ed ecclesiastica nella Federazione Russa post-sovietica, ma non vi è stato un forte rinnovamento del rapporto tra Stato e religione. Può sembrare paradossale, ma per il rapporto tra Cremlino e Patriarcato di Mosca non fu il 1991 l’anno che cambiò tutto, ma piuttosto il 1988, quando il Partito Comunista decise di celebrare il centenario del battesimo della Rus’. La nuova centralità della Chiesa che lei giustamente ha rimarcato deve essere compresa su vari livelli di società e vita politica».
Ci aiuti a comprendere questa complessità.
«In primis, bisogna comprendere che vi è una continuità nel rapporto tra Stato e Chiesa che va dal periodo zarista, prosegue nel periodo sovietico e arriva fino ad oggi. Lo Stato si è sempre rapportato con la Chiesa Ortodossa Russa in modo strumentale e nell’ottica del controllo. Lo stesso vale per l’Islam e per le altre fedi presenti in Russia. In secondo luogo, per quanto riguarda la vita religiosa dei cittadini, bisogna costatare che la società russa dopo quattro generazioni di comunismo era fortemente secolarizzata».
«Credo che in Italia o anche in Austria, da dove provengo, sia difficile comprendere il profondo grado di secolarizzazione della società russa. In un’Italia dove sempre meno persone frequentano le chiese, permane una esperienza costante, chiamiamola culturale, del cattolicesimo: lo incontriamo nel suono delle campane, nell’arte, nell’architettura, nei festivi, nei rituali e nei modi di rapportarsi».
«In Russia il periodo sovietico ha interrotto una simile continuità. Quello che vediamo oggi in Russia e che lei ha chiamato “centralità” è frutto di una ricostruzione che è avvenuta molto rapidamente. Pensi alla Chiesa del Cristo Redentore a Mosca, ricostruita laddove i sovietici avevano realizzato una gigantesca piscina pubblica; o alla Moschea Kul Sharif, nuova di zecca, dentro il Cremlino di Kazan, capitale del Tatarstan».
«In questo contesto è necessario interrogarsi su quanto sia reale questa rinnovata religiosità del popolo russo. I sondaggi parlano chiaro: il 63% dei russi, secondo Levada 2020, si dichiara ortodosso, di questi solo il 14% frequenta chiese almeno una volta al mese. Il tema fondamentale da comprendere è che i russi, quando si dichiarano ortodossi, non stanno necessariamente esprimendo il loro credo, bensì stanno definendo la propria appartenenza politica ed etnica ad uno Stato che si è dotato dei simboli della religione. Si dichiarano ortodossi perché sono russi e non tartari, per esempio. È un discorso complesso, ma necessario per capire una federazione multietnica e plurireligiosa».
Dunque, seguendo il suo ragionamento, viene meno la visione dell’ortodossia quale “gosudarstvoobrazuyushchaya”, ovvero “forza che edifica lo Stato”.
«Il concetto da lei citato non si riferisce all’ortodossia. La “forza che edifica lo Stato” la troviamo citata nella Costituzione Russa, dove ci si riferisce al popolo russo, “narod”, quel popolo russo di lingua russa, di etnia russa e di fede ortodossa che ha un ruolo privilegiato dentro la Federazione Russa».
Chiarito questo aspetto, però, è manifesto il rinnovato legame tra il Cremlino e il Patriarcato di Mosca sotto il trinomio creato dal conte Uvarov per lo zar Nicola I, ovvero: Pravoslavie, Samoderzhavie, Naródnost’ (Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità). Alla luce di tutto questo, è corretto parlare di una nuova sinfonia bizantina?
«La tentazione di parlare di una nuova sinfonia è grande, ma io non vedo un ritorno alla sinfonia (modello di relazione paritaria tra Stato e Chiesa), bensì un ritorno alla situazione degli anni Cinquanta. Cioè, una situazione in cui il Cremlino utilizza strumentalmente la Chiesa ed essa, trovandosi al servizio dello Stato, rinuncia alla propria libertà e vocazione ecumenica».
Come è possibile accettare questo stato di subalternità per il Patriarcato di Mosca?
«Kirill e molti membri della curia moscovita sono cresciuti e si sono formati in epoca sovietica. Questo sistema gerarchizzato e l’accettazione della presenza del potere politico all’interno degli affari ecclesiastici non è qualcosa di estraneo al loro modus vivendi. E sicuramente una parte del clero sostiene convintamente la linea politica di Putin. Tuttavia, vi è una parte di clero più democratico, seppur minoritario, che sta cercando, attraverso lettere e testimonianze, di far sentire la propria voce».
«All’interno della Chiesa Russa è in atto un processo contro chi dissente dalla linea del Patriarca. Ciò che sta avvenendo è una sconfitta del Patriarcato di Mosca che, abbracciando i progetti politici di Vladimir Putin, ha abdicato alla propria vocazione pastorale soprattutto nella sua dimensione transnazionale, facendo emergere richieste di autocefalia nei territori ex-sovietici, non solo in Ucraina».
Questo vincolo politico tra trono e altare è altresì evidente se prendiamo in considerazione le parole del patriarca Kirill, che nel rapporto del XXV Concilio Mondiale del Popolo Russo è tornato a parlare del conflitto ucraino, sacralizzando questa guerra e traslando concetti religiosi, come per esempio l’immagine paolina del katechon, in narrazioni propagandistiche.
«Il testo cui lei fa riferimento è stato redatto dal Vsemirnyi Russkii Narodnyi Sobor, in inglese World Russian People’s Council. Non si tratta di una istituzione ecclesiastica, bensì di una Ong fondata dal Patriarcato e di cui Kirill è il presidente, ma dal 2019 è guidato dall’oligarca ultrafondamentalista Konstantin Valer’evič Malofeev. Questa organizzazione è da tanto tempo la “power house” delle idee più conservatrici ed estremiste della società russa».
«Non sarebbe corretto, dunque, nonostante sia stato Kirill a firmare il documento, associare al Sinodo dei Vescovi quanto dichiarato dal Concilio. Tra l’altro in passato vi sono stati anche momenti di frizione tra il Concilio del popolo russo ed il Sinodo quando nel 2006, come ho avuto modo di trattare nel mio libro “The Russian Orthodox Church and Human Rights”, la rappresentanza del clero ortodosso si dissociò dalle dichiarazioni sui diritti umani pubblicate dal Consiglio».
Dunque, la sacralizzazione della guerra non è tanto una volontà del clero ortodosso quanto delle forze conservatrici russe?
«Esatto, perché sulla guerra il clero ortodosso russo è diviso. Ci sono sicuramente tanti sostenitori, ma abbiamo visto anche atti di resistenza e critica. Il documento nel quale si parla di “guerra santa” riporta testualmente la visione politica di Malofeev, che è uno dei principali sostenitori di un ritorno alla tradizione imperiale russa ed è stato uno dei maggiori sponsor economici delle milizie russe nel Donbass. Le sue mire politiche sono rivolte alla riconquista dell’Ucraina fin dal 2014».
Quali sono stati gli strumenti utilizzati da Malofeev per diffondere le proprie teorie?
«Per sostenere le proprie idee Malofeev ha costruito un impero editoriale con il quale, unendo mistica e propaganda, alimenta un discorso soteriologico volto a giustificare la “guerra santa” contro l’Occidente. Oggi quello che noi dobbiamo capire è come sia stato possibile che queste teorie ultranazionaliste siano arrivate al centro del potere».
Lei ha un’idea a riguardo?
«Guardi, sicuramente c’è più di un fattore. La volontà politica da parte del Cremlino di inasprire il conflitto con l’Occidente è iniziata molto prima del 2022. Il campo degli ultra-patrioti intorno a Malofeev si è prestato bene per fornire una narrazione nazionalista e antioccidentale. Un altro fattore è sicuramente l’autocefalia conferito alla Chiesa Ortodossa dell’Ucraina da parte del Patriarcato Ecumenico, considerato un vero e proprio scisma da Mosca. Infine, secondo me, ha giocato un ruolo anche il Covid. La Russia ha percepito l’Europa estremamente debole, un’Europa in preda alla paura di morire. Sono convinta che i russi abbiano percepito gli europei totalmente inermi. “L’Occidente in decadenza” è un’idea fissa per i conservatori russi».
Soffermandoci sul ruolo del Patriarcato come Chiesa nazionale e ragionando sulle conseguenze dell’ultimo attentato di matrice islamica a Mosca, lei prevede turbamenti tra la Chiesa ortodossa e la forte componente musulmana presente nel Caucaso?
«Non credo possano sorgere nuovi problemi. Il rapporto con la componente islamica della Federazione Russa è stato già risolto da Putin con le due guerre in Cecenia».
Certo, ma non crede possa esserci una riemersione del tema islamico?
«No, attualmente lo escluderei. Il mondo musulmano in Russia è centralizzato e i suoi leader sono totalmente allineati con il Cremlino. Ciò che unifica le religioni rappresentate al Concilio interreligioso russo, ovvero le religioni storicamente presenti sul suolo della Federazione Russa (principalmente ortodossa, musulmana e buddista) è la condivisione dei cosiddetti “valori tradizionali” che la propaganda russa oppone alle libertà occidentali. Questo nazionalismo non è più etnico russo né esclusivamente religioso ortodosso, ma è un nazionalismo ideologico nel quale possono ritrovarsi anche gli altri gruppi etnici e religiosi della Federazione. Bisogna ricordare che il numero di soldati russi provenienti dalle regioni musulmane del Paese è elevato».
Sicuramente un quadro complesso.
«Assolutamente. Per comprendere quanto sta accadendo in Russia è necessario fuggire le facili banalizzazioni e non bisogna accomunare in maniera acritica la religione ortodossa con il concetto dei valori tradizionali promosso da alcuni esponenti del clero e della galassia conservatrice russa. Il quadro politico e religioso russo è sicuramente più articolato ed è nostro compito, in qualità di scienziati, cercare di comprendere la genesi e i possibili sviluppi di quanto stiamo vivendo».