Alexei Navalny, il dissidente morto il 16 febbraio scorso in circostanze ancora da chiarire in un carcere dell’Artico russo, sarebbe stato ucciso perché “stava per essere liberato in cambio di un ex ufficiale” dei servizi di Mosca, attualmente detenuto in Germania. La rivelazione arriva da Maria Pevchikh, presidente della Fondazione anticorruzione creata dall’oppositore russo, che ha spiegato oggi le parole pronunciate il 19 febbraio scorso dalla vedova Yulia Navalnaya.
“Sappiamo esattamente perché Putin ha ucciso Alexey”, disse allora la moglie di Navalny in un video pubblicato sui social, accusando direttamente il presidente russo ma senza fornire ulteriori dettagli. In un altro filmato pubblicato oggi Pevchikh rivela che il motivo sono i negoziati per il rilascio del dissidente in cambio di Vadim Krasikov, detenuto russo in carcere per omicidio in Germania, che erano ormai arrivati a uno stadio avanzato.
Il team di Navalny, ha spiegato la presidente della Fondazione anticorruzione, “ha trascorso gli ultimi due anni lavorando alla sua liberazione attraverso uno scambio di prigionieri”. L’accordo finale prevedeva il rilascio del dissidente e di “due cittadini statunitensi” in cambio di Krasikov, ex ufficiale dei servizi interni Fsb, condannato per aver ucciso l’ex comandante ceceno Zelimkhan Khangoshvili a Berlino nel 2019.
Secondo Pevchikh, Putin era (ed è tuttora) “ansioso di ottenere il rilascio di Krasikov” ma non al punto di liberare Navalny, così avrebbe deciso di “sbarazzarsi della merce di scambio” e aspettare la prossima occasione per uno scambio di prigionieri.
In effetti, in una lunga intervista concessa all’inizio di febbraio all’ex conduttore di Fox News Tucker Carlson, il presidente russo aveva accennato a Krasikov, senza mai citarlo direttamente, paventando uno scambio con gli Stati Uniti ma non in cambio del dissidente, bensì del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, detenuto in Russia dal 29 marzo scorso con l’accusa di spionaggio.
In quell’occasione, il presidente russo si era riferito all’ex ufficiale del Fsb come a “una persona che sta scontando una pena in un Paese alleato degli Stati Uniti, un uomo che, per sentimento patriottico, ha eliminato un bandito in una delle capitali europee”.
All’inizio di febbraio, ha rivelato oggi Pevchikh senza fornire prove a sostegno di queste asserzioni, a Vladimir Putin è stata offerta la possibilità di scambiare Navalny e “due cittadini americani” con Krasikov. “Ho ricevuto la conferma che i negoziati erano giunti alle fasi finali la sera del 15 febbraio”, ha rimarcato la presidente della Fondazione anticorruzione. “Il 16 febbraio Alexey è stato ucciso”.
I colloqui, secondo Pevchikh, sono durati due anni e hanno coinvolto “persone influenti” che hanno condotto “negoziati non ufficiali con i delinquenti di Putin”, rischiando a volte la vita e la carriera.
Una prima “approvazione” del piano, ha proseguito, era arrivata nella primavera del 2023, a cui poi “sono seguiti mesi di esitazioni e interruzioni dei contatti tra i vari attori coinvolti”. Ma poi, nel dicembre scorso tutto sarebbe ripartito.
Le prove delle trattative, secondo Pevchikh, sarebbero riscontrabili in una serie di “tracce” lasciate sui media, tra cui proprio l’allusione di Putin a Krasikov durante l’intervista con Tucker Carlson. Di più, non dice ma fa un nome eccellente.
Secondo la collaboratrice di Navalny infatti, la proposta per lo scambio di prigionieri sarebbe stata consegnata a Vladimir Putin niente meno che dal miliardario russo Roman Abramovich che, contattato da Pevchikh dopo la morte del dissidente, non avrebbe né confermato né negato il proprio presunto ruolo di negoziatore informale nei negoziati per liberare Navalny.
“Vi racconto questa storia in modo che possiate avere una risposta alla domanda sul perché Navalny è stato ucciso proprio adesso”, ha concluso Pevchikh. “È stato chiarito a Putin che l’unico modo per riavere Krasikov era scambiarlo con Navalny”. Ma, secondo la presidente della Fondazione anticorruzione, il presidente russo non poteva tollerare di vedere il dissidente libero e così l’avrebbe fatto uccidere.
Alexei Navalny è morto venerdì 16 febbraio a 47 annni in circostanze ancora da chiarire nella Colonia penale di massima sicurezza n. 3, il carcere del distretto autonomo di Yamalo-Nenetsia, situato nell’Artico russo a 2.000 chilometri da Mosca, dove stava scontando una pena di 19 anni di reclusione. La famiglia, il suo entourage e i governi di Stati Uniti ed Europa addebitano al Cremlino la responsabilità della morte del dissidente, un’accusa sempre respinta al mittente da Mosca.
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