Il governo messicano ha accolto positivamente l’idea di un funzionario statunitense che ha proposto di far pagare il muro al confine con gli Stati Uniti ai cartelli dei narcotrafficanti, ma i media locali sono scettici circa l’attuabilità di tale soluzione.
Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump insiste che costringerà il vicino meridionale a pagare per l’enorme barriera lungo il confine, il Messico ha più volte ribadito di non averne alcuna intenzione di sborsare i 15 miliardi di dollari stimati per la costruzione di un muro lungo 3.200 chilometri.
Il capo di gabinetto della Casa Bianca Reince Priebus ha dichiarato domenica 29 gennaio 2017 che le opzioni sono diverse, citando tra esse quella di far pagare la barriera ai trafficanti di droga.
Priebus non ha però fornito alcun dettaglio su come le autorità potrebbero ottenere dai narcos messicani il denaro, da cui lo scetticismo dei quotidiani messicani.’Excelsior ha persino pubblicato una vignetta che recita: “Cosa si è fumato Trump?”.
Tuttavia, il ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray, che si trovava a Washington per colloqui con i funzionari americani, ha detto che “è senza dubbio positivo che si parli di far pagare il muro a qualcuno che non sia il Messico. I narcos non sono il Messico”.
Videgaray ha inoltre aggiunto che i funzionari americani e statunitensi potrebbero incontrarsi nei prossimi giorni.
Il presidente messicano Enrique Pena Nieto ha invece annullato un appuntamento fissato con Trump per martedì 31 gennaio, proprio per lanciare un segnale forte rispetto ai piani di costruzione del muro.
I beni confiscati ai narcos
Il dipartimento del Tesoro americano ha imposto sanzioni sui signori messicani della droga congelando i loro beni negli Stati Uniti e i tribunali possono ordinare il sequestro dei fondi appartenenti ai boss condannati.
I magistrati americani, per esempio, stanno procedendo per confiscare a Joaquin “El Chapo” Guzman, a capo del potente cartello di Sinaloa, 14 miliardi di dollari.
El Chapo è stato estradato negli Stati Uniti il 19 gennaio, un giorno prima dell’insediamento di Trump, ed è detenuto in una prigione di massima sicurezza a Manhattan, New York.
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