Dal 2009 a oggi, il gruppo estremista Boko Haram ha causato in Nigeria 13mila morti e 1,5 milioni di sfollati. Ma gli effetti del conflitto non si limitano alla violenza diretta.
In seguito alle violenze di Boko Haram, solo il 20 per cento del territorio agricolo dello stato federale del Borno, nel nordest della Nigeria, è stato coltivato. Lo stesso è successo negli stati di Yobe e di Adamawa, confinanti con il Borno e posti sotto legge marziale dal 14 maggio 2013, causando una grave crisi alimentare.
Secondo Robert Piper, funzionario dell’Onu per la regione del Sahel, i bisogni umanitari della Nigeria saliranno a 992 milioni di euro nel 2015, e la crisi alimentare si aggraverà raggiungendo un picco il prossimo ottobre 2015.
Gli aiuti internazionali tardano ad arrivare per diverse ragioni, alcune connesse alle peculiarità della Nigeria – come il fatto per esempio che la più grande economia africana è reduce da elezioni controverse -, altre connesse alla più generale difficoltà dell’occidente a inviare aiuti.
Gli aiuti alimentari non sono mai stati facili da gestire, dal momento che spesso hanno causato più danni di quanti ne risolvessero.
Istituiti per la prima volta nel 1967 dai Paesi europei come conseguenza del surplus produttivo di cereali, le donazioni gratuite di generi alimentari possono innescare dinamiche che distruggono le economie in via di sviluppo e rendono strutturali carestie che sarebbero altrimenti passeggere.
Il discrimine fissato dall’Unione europea, dopo anni di analisi dei propri errori, consiste nel donare gratuitamente alimenti solo alle popolazioni che soffrono carestie dovute alla mancanza di denaro.
Alcune zone del pianeta, pur mantenendo un potere d’acquisto minimo, soffrono di carestie dovute alla mancanza di prodotti locali, in seguito a catastrofi naturali o umane.
Questo è il caso della Nigeria colpita da Boko Haram, e il caso dello Zimbabwe, che ha visto la sua produzione di mais crollare sotto la presidenza di Robert Mugabe.
In questi paesi l’Ue non regala alimenti – che danneggerebbero ancor più un’economia produttiva locale esistente -, ma li vende senza incassare tuttavia denaro.
Attraverso un fondo di contropartita, i proventi della vendita di beni alimentari donati ai Paesi in via di sviluppo vengono utilizzati dal governo beneficiario per migliorare le capacità di produzione e stoccaggio dei prodotti locali.
Per controllare al meglio queste dinamiche sensibili, dal 1986 la gestione degli aiuti alimentari europei è passata dalla direzione generale dell’agricoltura a quella della cooperazione allo sviluppo.
Solo a partire dal 1996 l’aiuto alimentare è stato inserito in un regolamento, diventando così uno strumento costitutivo dello sviluppo socio-economico.
Tuttavia, dopo anni di studi, l’aiuto alimentare resta ancora oggi uno strumento difficile da impiegare. Dal momento che i Paesi in via di sviluppo si basano spesso su economie informali e di sussistenza, spesso è difficile capire se la carestia sia generata dalla mancanza di denaro o meno.
In casi di emergenza, l’Ue ha sempre deciso di donare gratuitamente, pur sapendo che tali aiuti alimentari possono aggravare le condizioni di un Paese già in difficoltà.
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