Il caporalato non è una (brutta) storia solo italiana. Il fenomeno si estende subdolamente in tutta Europa. Le paghe da fame, lo sfruttamento, i ricatti, il lavoro nero gestito da persone senza scrupoli, la vita nelle baraccopoli, fino ad arrivare alle molestie e agli abusi sessuali: queste le condizioni che accomunano decine di migliaia di lavoratori agricoli nei campi del Sud Italia, nelle regioni spagnole della Murcia e dell’Andalusia e nell’area di Manolada in Grecia.
E a fare luce sull’argomento è “E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale”, il nuovo rapporto dell’associazione ambientalista Terra! che esce oggi. Il dossier racconta la dimensione continentale dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, mettendo in evidenza i vuoti normativi, lo squilibrio nel potere di mercato e la debolezza dei controlli nelle filiere di importanti produzioni dell’Europa mediterranea.
Il caso dell’Italia: il lavoro grigio diventa sempre più nero
Nell’agricoltura italiana è schiacciante la presenza di stranieri. Sono tra 200mila e 250mila quelli occupati in agricoltura (54.154 comunitari e 92.968 extracomunitari secondo il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali) e rappresentano quasi il 30 per cento degli occupati totali del settore.
Nel Sud Italia c’è la quasi totalità della produzione ortofrutticola nazionale, ma dal Mezzogiorno parte solo il 30 per cento delle esportazioni totali dell’agroalimentare italiano. La Piana del Sele (Salerno), l’Agro Pontino (Latina) e il Foggiano sono le aree con forte disgregazione tra gli addetti, scarsità di politiche di filiera, mancanza di organizzazione del lavoro.
Tutti fattori che fanno comodo alla Grande distribuzione organizzata (Gdo), “che commercializza il 70 per cento dei prodotti e che vincola, attraverso pratiche a volte vessatorie, i produttori a dure condizioni contrattuali. Tra queste, le aste al doppio ribasso“, si legge nel rapporto. In pratica, il compratore raccoglie le offerte dei produttori, e la più bassa non sarà il prezzo, ma a sua volta la base d’asta di un’altra gara al prezzo più conveniente.
Con il lavoro dell’associazione Terra!, è stato elaborato un disegno di legge correttivo, il ddl 1373, che attende di essere approvato in via definitiva dal Parlamento italiano. Dalla legge 199 del 2016, quella sul caporalato, alcuni progressi sono stati fatti: nel 2019 ad esempio, sono state fatte 5.086 ispezioni, che hanno fatto emergere 5.340 soggetti a violazione, di cui il 51 per cento in “nero”. I provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale sono stati 408, per l’86 per cento (350) revocati a seguito di intervenuta regolarizzazione.
Il caso della Spagna: il ruolo delle mamme
In Spagna regna la contratación en origen, cioè il reclutamento diretto di lavoratori in paesi terzi, quasi solo dal Marocco, per la manodopera a Huelva, provincia andalusa delle fragole di cui la Spagna è primo esportatore mondiale. Dal 1999 una pratica in crescita, che ha portato nel 2008 nelle serre spagnole 13.800 lavoratrici, poi la flessione della crisi economica, ma nel 2019 di nuovo 14.411 braccianti.
La associazioni dei produttori trattano in Marocco con l’Agenzia nazionale fissando un requisito: solo donne, perché più attente nella raccolta di frutti delicati e meno rivendicative degli uomini, età tra i 25 e i 45, per resistere alle condizioni di lavoro, e solo se con figli minori di 14 anni a carico, così da essere obbligate a tornare in patria a fine stagione. Nel 2016 l’inchiesta di un giornale tedesco ha rivelato la diffusione di molestie e abusi sessuali su queste braccianti.
Come se non bastasse, il sistema agricolo è affetto da una potente “uberizzazione”, cioè dalla concentrazione del potere e ricchezza in oligopoli, a cui corrisponde sempre più “un’agricoltura senza agricoltori”. Il 6,5 per cento dei proprietari di aziende agricole detiene la maggior parte delle terre, il 42 per cento del valore della produzione.
Il caso della Grecia, dove il 90 per cento dei braccianti sono stranieri
In Grecia il 90 per cento della manodopera del settore agricolo è composto da migranti – almeno 60 mila gli stagionali albanesi – la maggior parte dei quali lavora in nero e senza assicurazione. Qui, il report si focalizza su Manolada, la regione meridionale nota per la coltivazione di fragole, dove nel 2013 il proprietario di un’azienda fece aprire il fuoco dai suoi vigilanti contro i lavoratori bengalesi in sciopero: 30 feriti, ma imprenditore assolto.
Le maggiori criticità in Grecia riguardano l’assenza di controlli. Tutto dipende dalle dichiarazioni di impiego dei lavoratori, spesso opache. I lavoratori emergono solo quando i datori di lavoro acquistano un voucher assicurativo a loro nome.
La filiera, quasi tutta formata da piccole e medie imprese (il 98 per cento) che operano su piccole superfici (una media di 6,8 ettari), prospera grazie alla mancanza di controllo: esposta alle pressioni di pochi e forti soggetti della commercializzazione e della distribuzione. E così, gli agricoltori a riducono i costi di produzione. “Per anni, la distribuzione e gli importatori europei – affermano i ricercatori di Terra! – si sono preoccupati più della soglia di qualità e dei protocolli di produzione, che degli standard sociali e lavorativi”.
L’appello di Terra!
Il rapporto, infine, lancia anche un appello a livello europeo: “Le pesanti condizioni che la Grande distribuzione organizzata impone ai fornitori sono oggetto di una direttiva approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo (2019/633, la cosiddetta direttiva “pratiche sleali”), con l’obiettivo di delineare un quadro di riferimento comune a 27 legislazioni diverse. Entro il mese di maggio, gli Stati membri sono chiamati a recepirla”.
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