Il caos in Libia, con gli scontri in corso tra l’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar e le truppe del Governo di accordo nazionale di Fayez al-Serraj, mette in pericolo migliaia di civili.
Finora, infatti, sono circa 240 i morti, secondo quanto stimato dall’Amsi, l’Associazione medici di origine straniera in Italia, tra i quali 75 bambini e 42 donne. I fortunati che sono riusciti a sopravvivere, adesso, devono affrontare un nuovo calvario: quello di fuggire dalle proprie case per cercare riparo dai parenti o in alcuni rifugi temporanei.
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Secondo Medici Senza Frontiere (MSF), sono migliaia le famiglie in fuga in tutta la Libia. “Le strutture sanitarie – fa notare però l’organizzazione – hanno capacità limitata e scorte di forniture mediche per meno di due settimane”.
Inoltre, bisogna considerare anche la situazione di tutte quelle persone che sono rimaste da giorni senza acqua ed elettricità. E degli oltre 3.000 rifugiati e migranti bloccati nei centri di detenzione vicini al conflitto, “che rischiano da un momento all’altro di trovarsi nel fuoco incrociato”.
Per questo motivo, MSF “chiede misure concrete per proteggere i civili e le infrastrutture civili, compreso il personale medico, evitando gli attacchi indiscriminati nelle aree densamente popolate”.
Oltre alle condizioni fisiche, si stanno aggravando – rileva l’organizzazione internazionale – anche le condizioni psicologiche dei detenuti e dei pazienzi. “MSF ha osservato il diffondersi di ansia e paura tra i pazienti, alcuni dei quali raccontano di aver sentito spari e attacchi aerei molto vicini senza avere alcuna possibilità di fuga”.
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Viste le condizioni di vita e la gravità del conflitto, molti libici vedono come un’opzione di salvezza, seppur disperata, quella di fuggire dai combattimenti attraverso il Mediterraneo. “MSF non è in grado di verificare se le partenze in mare siano aumentate dall’inizio dei combattimenti”, precisa l’organizzazione. “Ma sappiamo che cercare sicurezza è una reazione concreta e umana a situazioni di estremo pericolo come questo conflitto”.
Da qui, l’appello all’Unione europea affinché si trovi “un accordo su soluzioni per sbarcare le persone in porti sicuri, mettendo fine alle azioni punitive per ostacolare le organizzazioni umanitarie impegnate in mare”.
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