Negli Stati Uniti – ma anche in buona parte del mondo – tutti gli alimenti sono controllati e classificati secondo alcuni standard stabiliti da ogni singolo Paese. Un modo per tracciare e garantire la qualità dei prodotti. Lo stesso discorso, però, non può essere fatto con la cannabis. Non esiste, infatti, un criterio di selezione stabilito dal governo federale americano.
Ma per i consumatori è importante sapere che tipo di prodotto stanno acquistando. Se, ad esempio, nella loro cannabis sono presenti o meno pesticidi o additivi. Steve Howard, vicepresidente della Mirth Provisions – azienda dell’Oregon che crea bevande miste alla canapa – ha sostenuto che l’unico modo per certificare un prodotto è istituire appunto un’agenzia federale.
Nel frattempo, però, per sopperire a questa mancanza, sono nate delle certificazioni collaterali come la Green Clean. Ma non è facile acquisire credibilità agli occhi dei clienti. E così un contadino e imprenditore della California, Mitch Davis, per ottenere la fiducia e assicurare i consumatori che i suoi prodotti sono totalmente genuini, ha deciso (già quattro anni fa) di classificarli come “kosher”, ovvero ritualmente puri secondo la legge religiosa ebraica.
“Per ottenere una classificazione del genere i prodotti non devono contenere insetti o subire disinfestazioni”, ha affermato Mitch. “È giusto che i clienti siano informati su questo”. Ha aggiunto poi che lo stato della California ha provato a ottenere certificazioni biologiche, ma ancora non ha raggiunto l’obiettivo. Per l’imprenditore il motivo sta nel fatto che “i regolamenti di ogni Stato (negli Usa) sono così diversi da non essere abbastanza nazionalizzati”.