Questo articolo fa parte dello speciale di TPI “Il sogno canadese dei rifugiati siriani”, che spiega come funziona il sistema di accoglienza in Canada, attraverso le testimonianze di rifugiati, cittadini canadesi e accademici.
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Hind ha scelto il Canada, Jamal è arrivato quasi per caso. Lei era da sola, lui con la sua famiglia. Entrambi hanno ancora parenti in Siria. Le loro storie sono simili, perché entrambi sono fuggiti da un paese sconvolto dalla guerra civile che va avanti da oltre cinque anni. Tuttavia sono arrivati in Canada attraverso canali differenti.
Hind fa parte del programma di aiuto ai rifugiati previsto dal governo per 12 mesi, al termine del quale deve raggiungere l’indipendenza economica. In caso contrario, deve fare ricorso ai sussidi sociali. Jamal è arrivato in Canada perché un gruppo di 17 persone ha deciso di sostenere economicamente lui e la sua famiglia per un anno. Anche lui, trascorso questo periodo, dovrà cavarsela da solo, anche se è improbabile che al tredicesimo mese i suoi sponsor lo abbandonino da un giorno all’altro qualora non dovesse farcela.
Anche perché, dal momento del suo arrivo, gli sponsor sono diventati come una seconda famiglia per Jamal. Sei o sette di loro gli dedicano anche molto tempo. Sbrigano le incombenze burocratiche, li accompagnano in banca o alle visite mediche. E portano sempre con loro una persona in grado di tradurre, perché né Jamal né i suoi figli parlano inglese.
Hind e i rifugiati assistiti dal governo
Quando Hind è arrivata in Canada ad agosto 2015 per un programma educativo di tre settimane, non aveva in mente di chiedere asilo e nemmeno di lasciare il suo paese. Aveva ancora un lavoro lì, come assistente umanitaria, ed era felice di aiutare le persone in Siria. Così è tornata nel suo paese anche se aveva un visto per sei mesi.
“La famiglia canadese da cui alloggiavo mi ha incoraggiata più volte a tornare e a stabilirmi in Canada, mentre stavo con loro”, racconta Hind a TPI. Ma forse questo non sarebbe mai successo se lei non avesse perso il lavoro. Ha iniziato a cercarne uno nuovo, ma non era facile riuscire a trovarne uno in quel momento in Siria. “Non volevo essere stigmatizzata come rifugiata, essere vista negativamente. Ma nelle settimane che ho trascorso in Canada ho visto che è un paese di opportunità, in cui si può trovare lavoro, fare volontariato e servire la comunità. Ho capito che venire qui e chiedere asilo era qualcosa di accettabile e allora l’ho fatto”.
Hind è tornata in Canada a dicembre 2015 e dopo tre settimane ha fatto richiesta di asilo. Quando la sua richiesta è stata accettata, ha ricevuto il permesso di lavoro. Nel mentre ha fatto volontariato con un’associazione di Toronto chiamata Lifeline Syria, che aiuta i rifugiati siriani. Ancora oggi si occupa di gestire pratiche e mediare tra i rifugiati siriani e gli sponsor. Anche prima di iniziare a lavorare, non ha avuto problemi economici. “Ricevevo l’assistenza prevista per i rifugiati dal governo, non era molto ma c’erano e ci sono persone che mi aiutano, anche finanziariamente, fornendomi vestiti o altro di cui ho bisogno”, racconta Hind.
Una volta, mentre si trovava nella piscina di un centro ricreativo, le si sono avvicinate altre due donne. Hanno iniziato a chiacchierare e quando hanno capito che era siriana le hanno chiesto cosa le servisse. Le hanno chiesto se avesse avuto bisogno di qualcosa, dove vivesse e se sapesse già dove si trovasse la moschea. Si sono scambiate il numero di telefono e da quel giorno la contattano spesso per invitarla a qualche evento.
“Mi hanno trattato come una di famiglia anche se non mi avevano mai vista prima”, dice Hind. “Qui le persone ti portano dappertutto e ti insegnano cose sul Canada perché vogliono che tu ti senta integrata e sono loro a prendere l’iniziativa. Molti di loro sono stati rifugiati o immigrati, hanno avuto problemi nei loro paesi e quindi sono comprensivi perché hanno attraversato le tue stesse difficoltà”.
Tuttavia Hind rappresenta un’eccezione, perché conosceva già l’inglese e aveva esperienza lavorativa alle spalle. Altri rifugiati siriani invece devono lottare contro la barriera linguistica. In genere, i profughi assistiti dal governo provengono dai campi di sfollati in Libano, Giordania e Turchia e sono tra i più vulnerabili. Hanno subito traumi maggiori, sono famiglie più numerose e talvolta qualche componente è affetto da disabilità.
Chi arriva con il sostegno dei privati può essere anche nominato dagli stessi sponsor, quindi possono essere parenti o amici di chi vive in Canada. I dati demografici mostrano inoltre che queste persone tendono a essere maggiormente educate e hanno più esperienza di lavoro.
Jamal e i rifugiati sponsorizzati dai privati
La famiglia di Jamal è arrivata in Canada il 7 febbraio 2016 alle tre del mattino. Il suo nome è stato scelto da una lista da un’organizzazione internazionale che si occupa di migrazioni mentre si trovava nel campo profughi di Azraq, in Giordania. Era riuscito a lasciare la Siria, dove viveva a Ghouta est, una zona rurale nei pressi di Damasco. Alcuni suoi parenti sono bloccati lì da 4 anni.
Al loro arrivo in aeroporto tutti i membri della famiglia hanno ricevuto la tessera sanitaria e il permesso di soggiorno. Ad attenderli c’era il gruppo di sponsor che da allora si occupa di loro. La prima notte l’hanno trascorsa in albergo, poi gli sponsor hanno messo a loro disposizione una casa interamente arredata. Non mancava niente, neanche le lenzuola o gli arredi della cucina.
Anche se il gruppo è composto da 17 sponsor, Jamal è in contatto continuo con sei di loro, che gli fanno visita periodicamente e assistono lui e la sua famiglia per tutte le necessità. La mattina lui e i suoi figli vanno a scuola per imparare l’inglese. Nel pomeriggio lui lavora part-time. In Siria faceva l’infermiere, ma senza conoscere la lingua non può fare lo stesso mestiere in Canada, quindi sfrutta la sua abilità manuale nel lavorare il legno, costruisce e vernicia porte e mobili per la cucina.
Racconta anche di aver saputo di recente che lo stato canadese gli consentirà di partecipare a un programma per trovare lavoro. “È vero, ho perso dei parenti in Siria e mi sono allontanato dal mio paese, ma ho trovato questi ragazzi canadesi che sono molto bravi, gentili con la mia famiglia e ci fanno sentire a casa”, dice Jamal. “Non li considero semplici amici, ormai sono parenti stretti. Ci troviamo molto bene in Canada, non siamo guardati diversamente dagli altri. L’importante è, visto che loro si comportano bene con te, che rispetti le regole e ti inserisci nella società”.
“Spero presto di diventare indipendente e rendermi utile”, dice Jamal. “Lo voglio fare per me stesso e per la mia famiglia, non voglio approfittare dell’aiuto che ci viene dato”. Tra due anni Jamal potrà chiedere la cittadinanza canadese, ma “non conta quello che c’è scritto nei documenti. Per come mi trattano mi sento già canadese, anche se dentro rimango siriano”.
(Rifugiati siriani al momento dell’arrivo all’aeroporto di Toronto. Credit: Mark Blinch)
*Hind è un nome di fantasia dal momento che ha accettato di parlare con TPI in forma anonima.
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