Questo articolo fa parte dello speciale di TPI “Il sogno canadese dei rifugiati siriani”, che spiega come funziona il sistema di accoglienza in Canada, attraverso le testimonianze di rifugiati, cittadini canadesi e accademici.
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Mentre gli Stati Uniti di Donald Trump tentano di chiudere i propri confini e innalzare muri, un altro paese nordamericano decide di puntare sull’accoglienza. Si tratta del Canada, dove al programma del governo per l’accoglienza dei rifugiati, si aggiunge anche la possibilità che gruppi di almeno cinque cittadini sponsorizzino privatamente una famiglia di profughi per un intero anno dal momento del loro arrivo nel paese.
La sponsorizzazione, che prevede il sostentamento economico e il supporto all’integrazione sociale per i rifugiati accolti, era prima accessibile solo come meccanismo ad hoc per specifici casi ed è diventata legge in Canada solo nel 1978. Naomi Alboim, che insegna alla School of Policy Studies della Queen’s University ed è stata tra i fondatori dell’organizzazione Lifeline Syria, racconta che tra il 1979 e il 1981 il Canada ha ricevuto 60mila rifugiati da Vietnam, Cambogia e Laos.
Oltre la metà di questi è stata sponsorizzata privatamente e alcuni di loro adesso stanno facendo la stessa cosa con i siriani. La sponsorizzazione prevede il sostentamento economico e il supporto all’integrazione sociale per i rifugiati accolti.
“Il Canada ha imparato molto da quell’esperienza, ha ricevuto anche una medaglia Onu”, spiega Alboim. “La generale consapevolezza della crisi in Siria, possibile grazie al racconto dei media, e la crudezza delle immagini diffuse hanno portato a una crescita delle domande per la sponsorizzazione privata. Ma tutto questo è stato possibile solo perché esisteva una cornice legale che lo consentiva”.
“Alle scorse elezioni in Canada per la prima volta da che io ricordi il tema dei rifugiati è entrato nel dibattito politico. E non in negativo, come succede spesso anche in Europa. Tutti i partiti lottavano su chi potesse portare più rifugiati nel paese e più velocemente”, racconta Alboim. “Era un’asta al rialzo ed era molto interessante vedere questo dibattito tra tutti i partiti politici perché sapevano che la società era con loro”.
“L’identità del Canada è multiculturale. Non selezioniamo migranti, selezioniamo cittadini”, spiega la fondatrice di Lifeline Syria. “Siamo anche una popolazione che invecchia e abbiamo bisogno dell’immigrazione per mantenere il numero della popolazione. Abbiamo anche bisogno di forza lavoro e personale specializzato”.
Circa 85 per cento dei migranti chiede la cittadinanza canadese quando ha il diritto di farlo. Paragonando l’accoglienza dei rifugiati in Canada a quella europea, Alboim sottolinea che non sarebbe opportuno utilizzare un programma di sponsorizzazione analogo a quello canadese per far arrivare altri rifugiati in Europa. Il sistema potrebbe essere utilizzato per collegare i rifugiati che sono già in territorio europeo alle famiglie disponibili a sponsorizzarli. Lei stessa ha compiuto alcuni viaggi in Italia a febbraio 2016 per affrontare l’argomento con le rispettive autorità nazionali.
“Non voglio farlo sembrare il Nirvana”, prosegue la professoressa. “Ci sono persone preoccupate per il livello di immigrati, ma sono una minoranza. Non sappiamo come Trump e la Brexit e quello che sta succedendo in Europa influenzerà il Canada, dobbiamo essere vigili. Ma la maggior parte dei canadesi vede la multiculturalità come un valore centrale per il paese”.
Pubblico o privato: quale sistema funziona meglio?
Una ricerca dell’ufficio di Immigrazione, rifugiati e cittadinanza canadese (Ircc) mostra che i rifugiati sostenuti dalla sponsorizzazione privata tendono a integrarsi meglio e prima rispetto a quelli aiutati dal governo. Secondo Audrey Macklin, che insegna diritti umani all’Università di Toronto, sono due le possibili spiegazioni.
La prima è relativa al fatto che i rifugiati che sono sponsorizzati dai privati beneficiano delle attenzioni, dei contatti e dei network degli sponsor. A questo proposito si parla di “capitale sociale”. “Sono una persona della classe media, conosco come funzionano le cose e se non so come funzionano so a chi chiederlo. Questo è il concetto”, spiega Macklin. “Hanno un gruppo di canadesi dalla loro parte, che hanno le conoscenze per aiutarli”.
La seconda spiegazione è che i rifugiati assistiti dal governo sono quelli che si trovano nella situazione di maggior bisogno, hanno famiglie più numerose, problemi di salute o hanno sofferto dei maggiori traumi. Per questo fanno più fatica a integrarsi. “Ci sono molte donne sole, famiglie dove il padre è morto o in prigione”, spiega Macklin. “Non sorprende che una donna arrivata in Canada con sei figli, che non parla inglese, non entrerà nella forza lavoro in un anno”.
Al contrario le persone sponsorizzate dai privati sono un gruppo più misto. “In ogni caso vorrei che fosse chiaro che qui non si tratta solo di qualcosa che è molto positivo per i rifugiati”, spiega Macklin. “Le persone che li sponsorizzano privatamente ne traggono enorme gratificazione. Non è solo un peso che il Canada accetta dal punto di vista finanziario – cosa che molte persone temono”.
“Ovviamente non tutto è positivo”, conclude la professoressa dell’Università di Toronto. “Ma è un’esperienza molto significativa per i canadesi, che creano rapporti con persone con le quali non avrebbero mai legato altrimenti, vedono il loro paese con gli occhi di qualcun altro. E in un momento in cui guardi le persone morire in televisione e ti senti impotente, questo offre un’occasione. Non possiamo fare nulla per i bombardamenti ad Aleppo, per la gente che viene uccisa, ma questo è qualcosa che possiamo fare”.
Cosa si può migliorare?
Molti aspetti del sistema di accoglienza pubblica e privata potrebbero essere migliorati. Il governo potrebbe essere più efficace nel portare i rifugiati in Canada.
“Uno dei problemi sono gli enormi ritardi nel portare i rifugiati nel nostro paese, e questo è un elemento di frustrazione per gli sponsor, perché è una cosa in cui non si può temporeggiare”, spiega Mackling. “Inoltre, mentre l’accoglienza per i siriani è stata accelerata per l’intervento del governo, è incredibilmente lenta per altri rifugiati, che vengono principalmente dall’Africa e aspettano per anni perché ci sono limiti numerici voluti dalla scorsa amministrazione e ancora in vigore. C’è una sorta di diseguaglianza in questo”.
Un altro problema rilevante è che i rifugiati arrivano in Canada a spese del governo, ma quest’ultimo considera l’importo del viaggio come una specie di prestito. I rifugiati devono iniziare a ripagarsi il viaggio dopo il primo anno. Ma spesso sono persone che hanno poche risorse. Questo li costringe a entrare nel mondo del lavoro prima che siano pronti.
“Anche io faccio parte di un gruppo di sponsorizzazione e noi incoraggiamo i siriani a non accettare subito un lavoro, ma di passare più tempo a studiare inglese, in modo da poter trovare un’occupazione migliore in un secondo momento”, conclude la professoressa.
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