Campo di Moria a Lesbo, Msf a TPI: “Qui manca tutto, la gente si accampa sotto gli alberi nel fango”
“Lavoro in questo contesto da un anno, ma oggi la situazione è davvero critica”. Tommaso Santo, capo missione di Medici senza Frontiere (Msf) in Grecia, commenta con TPI la situazione a Lesbo e nel campo di Moria, un luogo pensato per accogliere 3mila persone e dove invece oggi si trovano circa 17mila profughi, molti dei quali si sono accampati all’esterno. Il livello di criticità delle condizioni dei migranti sulle isole greche è stato denunciato ieri dal nuovo presidente internazionale Msf, Christos Christou, in una conferenza stampa a Bruxelles e in una lettera aperta rivolta ai leader europei.
Sì. Un anno fa al campo di Moria c’erano 5mila persone e già la situazione era dura, ora ce ne sono 17mila. È una situazione al limite: c’è scarsezza di tutto, la gente si accampa sotto gli alberi, nel fango e sotto la pioggia. Inoltre vediamo casi sempre più complicati: oggi c’era una signora che veniva da Mogadiscio, con il bambino di un anno paralizzato. Non dovrebbero stare in un campo, dovrebbero vivere in una casa, al sicuro, e ricevere cure adeguate. Ne hai diritto se sei in Europa.
Il 70 per cento viene dall’Afghanistan, ma ci sono anche siriani (il 13 per cento, un dato più che raddoppiato negli ultimi due mesi, dopo l’inizio dell’offensiva turca nel nordest della Siria). Poi ci sono cittadini della Repubblica democratica del Congo (4 per cento), somali (4 per cento), iracheni (3 per cento) e altre nazionalità (6 per cento).
È la conseguenza delle politiche di contenimento dell’Europa, si sta giocando sulla pelle di queste persone. La situazione è peggiorata anche perché il numero delle persone cresce, ma i servizi non sono aumentati. Moria è il secondo paese dell’isola in termini di abitanti, ma chi vive nel campo è al di fuori dei servizi che sono stati studiati per la popolazione.
Sì, alcuni bambini smettono di mangiare, compiono atti di autolesionismo, sviluppano sintomatologie molto gravi legate alla salute mentale in questo contesto. Arrivano dal viaggio sani dal punto di vista mentale e dopo quattro mesi che stanno qui sviluppano questi sintomi.
Durante il viaggio ci sono dei meccanismi di resilienza forti, è come se fossero protetti. Quando si fermano invece capiscono dove sono finiti e iniziano a sorgere questi problemi. Le persone che abbiamo incontrato sono qui da almeno tre o quattro mesi, ma c’è anche chi è qui da un anno. C’è anche chi è stato sulla terraferma, ha avuto dei problemi ed è tornato a Lesbo.
Bisogna mettere in atto una decongestione del campo e un meccanismo di ricollocazione nei paesi europei, almeno per le persone più vulnerabili. Occorre mettere fine alle politiche contenitive che provocano solo sofferenza inutile, considerati anche i numeri. Parliamo di 17mila persone, non credo che l’Europa avrebbe problemi a gestire questi numeri.