Esistono i supereroi dei fumetti, delle serie televisive, dei capolavori hollywoodiani, dei romanzi d’avventura. Esistono supereroi che sanno volare o incenerire con la sola forza dello sguardo, che cambiano colore se si arrabbiano, che fanno uso di spade affilate o bacchette magiche per combattere i propri nemici. Esistono poi i supereroi della vita vera, quelli che non indossano maschere e mantelli, ma che si portano appresso le cicatrici delle proprie battaglie come preziosi trofei delle loro vittorie.
Yair Carmeli, classe 1997, è uno di quelli. Si è ammalato di meningite all’età di otto anni ed è stato ricoverato per quattro mesi. La malattia ha colpito il suo apparato cerebrale e una volta dimesso si è trovato sulla sedia a rotelle. Non poteva camminare, muovere il braccio sinistro, parlare. Poi ha vissuto un lungo periodo di riabilitazione nel quale i suoi genitori sono stati “la sua unica ancora di salvataggio”.
“Nell’arco di un anno e mezzo ha dovuto imparare tutto da capo, ripartire da zero per provare a ricostruire quella che un tempo era stata la mia persona”, racconta Yair a TPI. “È stato un processo lento, fatto di piccoli passi”. Si è alzato dalla sedia a rotelle per ricorrere al deambulatore e poi alle stampelle, fino a quando non è riuscito a liberarsi anche di quelle e riacquistare l’uso delle sue gambe. E, nonostante gli strascichi della balbuzie, l’uso della parola.
Le difficoltà, tuttavia, erano appena cominciate. Dopo la riabilitazione Yair è tornato a scuola, la stessa nella quale aveva studiato prima del ricovero, ma da allora troppe cose erano cambiate.
“Furono anni molto duri, non riuscivo ad accettare ciò che mi era capitato, non riuscivo ad accettare il nuovo me e nemmeno i miei amici e insegnanti sembravano volersi adattare alle nuove circostanze”, racconta. “Strinsi i denti e portai a termine gli studi, sostenuto come sempre dai miei cari. Oltre che dai miei genitori e i miei fratelli, anche da una zia sempre presente e affettuosa e uno zio che non mancava mai di venirmi a visitare dall’estero”.
L’inizio del liceo è stato il periodo più buio della vita di Yair; l’ambiente nuovo si è rivelato particolarmente ostile, la difficoltà a relazionarsi con i nuovi compagni di classe e la pretesa di stare al passo con il tenore degli studi sono ostacoli che lo hanno segnato profondamente.
“Arrivati a quel punto io e i miei genitori abbiamo deciso di accettare definitivamente il mio nuovo stato di disabilità, non con rassegnazione, bensì con un nuovo spirito che ci ha rafforzato e unito moltissimo. Mi hanno iscritto dunque in una scuola per ragazzi con bisogni speciali e lì ho visto finalmente, per la prima volta da molto tempo, la luce in fondo al tunnel”.
Grazie ai nuovi insegnanti, Yair ha imparato a conoscersi e ad apprezzarsi, ha rafforzato nuovi e vecchi legami, ma soprattutto ha ritrovato la serenità necessaria per dedicarsi interamente alla sua più grande passione: il ping pong.
“Mio nonno Rahamim mi ha raccolto dal fondo proprio quando avevo perso le speranze”, racconta Yair. “Mi ha messo una racchetta in mano e mi ha insegnato a giocare. Pensa che all’epoca lui aveva già settant’anni, non era giovane, eppure dedicava ogni giorno mezz’ora ai nostri allenamenti. Credeva in me, ci credeva profondamente, proprio quando tutti gli altri avevano smesso. All’inizio ha dovuto confrontarsi con un allievo non semplice da istruire, la mia coordinazione era quasi del tutto inesistente, ma lui non ha mai perso la pazienza”, racconta Yair.
Se tutte le vie portano a Roma, tutte le fatalità hanno portato Yair al successo.
Un giorno lui e suo nonno decisero di comprare uno spara palline, utile a Yair per allenarsi da solo. Hanno trovato una signora disposta a vendercelo, ma all’ultimo momento della trattativa la donna fece un passo indietro e decise di tenerselo per sé.
Così si sono rivolti a un insegnante di ping pong residente a Tel Aviv che, quando vide Yair giocare, si rivolse a suo padre per chiedergli cosa gli fosse capitato.
Scoprì così la sua disabilità e lo indirizzò ad un centro sportivo per ragazzi con bisogni speciali. Da quel giorno la vita di Yair ha preso una direzione del tutto inaspettata. “Ho trovato la mia dimensione”, dice a TPI, “una seconda casa, un luogo in cui venni accolto con grande entusiasmo e calore e che, ancora oggi, mi regala momenti di grande gioia”.
Inizia così il capitolo più felice della storia del ragazzo: gli allenamenti, le prime partite, le competizioni nazionali, le competizioni internazionali.
A 15 anni Yair si è classificato al terzo posto a livello nazionale, poi sono cominciate le gare in Europa. In Francia, in Belgio, in Bulgaria e in Romania. Nel 2013 ha partecipato alla Maccabiade, una manifestazione ebraica simile alle Olimpiadi alla quale hanno preso parte giocatori provenienti da più di ottanta stati. “Quell’evento mi insegnò cosa significhi davvero essere uno sportivo”, racconta Yair. “Mi capita ancora di pensarci negli attimi di sconforto”. Inoltre, per tre anni consecutivi Yair ha ricevuto il premio come miglior sportivo della città di Ramat Gan.
Oggi è al primo posto della classifica nazionale israeliana di ping pong per disabili, sia come singolo sia in coppia, nonché al novantaseiesimo posto della classifica mondiale. Nell’ultimo anno ha cominciato a istruire giovani aspiranti sportivi nello stesso centro che anni prima lo aveva accolto a braccia aperte, nella speranza di riuscire a restituire un po’ di tutto ciò che lui ha ricevuto e mai dimenticato. Nel poco tempo libero che gli rimane, il neo campione sta programmando una serie di conferenze che gli permetteranno di girare il paese in lungo e in largo per raccontare la sua storia. L’obiettivo? Riuscire a trasmettere un po’ di forza e coraggio a chi lo ascolta.
“Penso che i giovani d’oggi non abbiano un vero motivo per il quale svegliarsi al mattino: non una passione, nessun interesse particolare. Bruciano il loro tempo di fronte allo schermo del computer o a quello del cellulare senza uno scopo preciso e, a lungo termine, ciò rischia di portare a problemi quali alcol, droga e violenza”.
“Sono sempre più convinto che, se potessi tornare indietro nel tempo per variare le sorti del mio futuro, non cambierei assolutamente nulla”, dice Yair. “Affronterei di nuovo il ricovero e la riabilitazione, ripercorrerei i tunnel bui per provare di nuovo la sensazione di rivedere la luce. Se oggi sono la persona che sono, se ho tagliato tanti traguardi e conosciuto tante persone straordinarie, se ho vissuto tanti momenti felici e importanti, lo devo anche alla malattia”.
Ed ecco il segreto di Yair: sorridere alla vita con semplicità e gratitudine, scrollarsi di dosso le difficoltà per riuscire a realizzare i propri sogni. Ma, sopratutto, non arrendersi mai.
“Vivo il presente e mi concentro più su ciò che mi sta capitando ora rispetto a ciò che mi riserverà il futuro, ma se guardo avanti di sogni ce ne sono ancora tanti. Il primo fra tutti, le Paralimpiadi. Certo, sono ancora molto lontane, ma lavoro sodo e spero di ottenere grandi risultati”.
Esistono supereroi che per sentirsi tali hanno bisogno di sipari e riflettori, di folle scalpitanti e di una principessa da salvare in cima ad una torre. E poi c’è Yair, a cui bastano un paio di gambe e un paio di braccia, una racchetta, qualche pallina e il suo inconfondibile sorriso, per diventare davvero invincibile.
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