Nell’immaginario collettivo il Medio Oriente è una terra assolata, dalle temperature miti, dove il solo accecante colora di oro il paesaggio, costringendoti a schermare gli occhi per ammirare il panorama circostante. Peccato però che non sia sempre così.
Peccato per tutti quei profughi siriani (e non solo) che ogni giorno devono combattere contro il freddo e la neve, trovare un modo per evitare che quel poco che hanno venga distrutto dall’acqua o portato via dai fiumi di fango che attraversano i campi lungo il confine con la Siria in cui hanno eretto le loro tende.
Questo è il vero Libano, questo è il confine con la Siria. Una terra in cui sorgono accampamenti a stento tollerati dal governo dove si sono riversati tutti coloro che sono fuggiti dalla guerra in cerca di salvezza.
Sfuggire ai raid (tanto siriani quanto internazionali), ai colpi di mortaio e agli attacchi suicidi dei miliziani dell’Isis però non è abbastanza, o almeno non lo è stato per 15 bambini che per il freddo sono addirittura morti.
Per capire cosa vuol dire vivere nei campi profughi in Libano e come il governo locale tratta i siriani, TPI ha intervistato telefonicamente Luciano Griso, che lavora nei campi profughi nella valle della Bekaa.
Griso è medico e collaboratore di Mediterranean Hope, un programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Di profughi che vogliono restare in Libano non ne ho conosciuti. Stanno in Libano perché non hanno altra scelta, ma la vita che conducono è miserrima quindi se potessero scegliere diversamente se ne andrebbero. Alcuni di loro vogliono tornare in Siria, ma la maggior parte preferirebbe andare all’estero. I motivi sono tantissimi, anche intuitivi. Per molti di loro in Siria non c’è niente: la loro abitazione è stata distrutta , il loro villaggio è stato distrutto, l’economia siriani è distrutta in quasi tutto il paese. Per loro non ci sono prospettive, senza dimenticare la questione degli odi etnici che si sono creati in seguito alla guerra.
Nei campi non c’è accesso all’istruzione, qualche possibilità esiste nei centri di medie e grosse dimensioni dove il governo mette a disposizione le scuole per i turni del pomeriggio, ma i rifugiati devono pagarsi gli insegnanti. Inoltre queste scuole spesso sono difficili da raggiungere perché non ci sono mezzi pubblici. C’è un’intera generazione di bambini e adolescenti che è ormai persa.
Molti lavorano, ma quello che fanno non può essere chiamato ‘lavoro’ perché non c’è dignità, sono occupazioni sotto pagate, molto spesso in regime di semi-schiavitù nei campi o in giro per il paese. Alle volte c’è una forma di scambio per cui anziché pagare l’affitto del terreno in cui hanno piantato la tenda lavorano per il proprietario.
Il governo libanese ha tollerato i profughi fino a poco tempo fa, ma da poco è partita una campagna politica per spingere i siriani a tornare in patria. Era stato proprio il Presidente della Repubblica ad avviarla l’estate scorsa: in alcuni campi al confine con la Siria i siriani sono stati spinti con la forza a tornare in patria, sono stati caricati sui pullman e portati dall’altra parte del confine.
Le Ong sono preziose per il governo perché suppliscono a tutto ciò che la politica non è in grado o non vuole fare per aiutare i profughi.
Una volta che i profughi siriani arrivano in Italia con i corridoi sono seguiti dalla Chiesa Valdese, sono distribuiti nei vari centri e si provvede a dar loro vitto, alloggio, un insegnamento, assistenza sanitaria e legale. Inoltre li aiutiamo con le pratiche per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e cerchiamo di ottenere borse lavoro per i capifamiglia o le donne per far sì che comincino ad essere autonomi. I risultati sono buoni, tenendo conto della situazione attuale in Italia.
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