Sono sei i candidati ufficiali confermati il 20 aprile scorso dal Consiglio dei guardiani, che il 19 maggio si sfideranno per la presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran, scelti tra una rosa di 1.636 persone che dall’11 al 15 aprile si sono registrate negli appositi uffici.
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I candidati sono stati scelti dall’organismo deputato all’interpretazione della Costituzione, alla valutazione della conformità delle leggi emesse dal Parlamento (Majlis) con il diritto islamico e all’idoneità dei candidati registrati nelle tornate elettorali.
Tutti uomini. Nessuna donna è stata ammessa alla corsa presidenziale. Decade così l’ipotesi paventata nei mesi precedenti sulla possibilità che una donna potesse arrivare a sfidare il presidente in carica Hassan Rouhani. Infatti, tra gli addetti ai lavori era circolato parecchio il nome di Marzieh Vahid-Dastjerdi, già ministro della Sanità sotto il secondo mandato presidenziale del governo di Mahmoud Ahmadinejad.
Tra le squalifiche eccellenti è risultato anche il suo nome, ovvero quello dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, che non ha lasciato la presa nonostante i rapporti non proprio idilliaci con la Guida Suprema iraniana Alì Khamenei, già emersi durante il suo l’ultimo mandato presidenziale (2009-2013).
Di recente, l’ex falco esponente dell’ala politica ultra-conservatrice, ammaliato da una forte credenza religiosa circa l’imminente ritorno dell’Imam Muhammad al-Mahdi “occultato”, che in passato avevano preoccupato non poco analisti e detrattori, aveva annunciato di non volersi candidare alle presidenziali, seguendo così “il consiglio” dell’Ayatollah Alì Khamenei.
Tuttavia, all’ex professore di ingegneria civile all’Università della Scienza e della Tecnologia di Teheran, due volte presidente della Repubblica Islamica, non era andato giù il veto impostogli. All’ultimo ha deciso di ripresentarsi, ma senza successo.
Tralasciando i rapporti tesi fra la Guida Suprema iraniana e il suo ex pupillo, il Consiglio dei guardiani ha così ammesso alla corsa presidenziale Hassan Rouhani, il presidente uscente esponente dell’ala moderata iraniana supportato dai riformisti, dato come favorito per una vittoria e per l’avvio di un secondo mandato.
Gli altri cinque candidati confermati dall’organismo costituzionale sono: Seyyed Ebrahim Raeisi, responsabile e amministratore della Astan Quds Razavi, un’organizzazione caritatevole che gestisce il santuario dell’ottavo imam sciita, Mohammad Bagher Qalibaf, attuale sindaco di Teheran e battuto da Rouhani quattro anni prima. Mostafa Aqa Mirsalim, membro del Consiglio per il discernimento e consigliere alla presidenza durante il mandato di Alì Khamenei (1981-1989), Mostafa Hashemi Taba, ex ministro dell’Industria e vice presidente dal 1994 al 2001 durante i mandati presidenziali di Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami, Eshaq Jahangiri, attuale primo vice presidente che ha servito come ministro dell’Industria e delle miniere durante la presidenza di Khatami.
L’ipotesi sfumata di una donna presidente
Ha fatto riflettere l’ipotesi circolata da tempo che una donna potesse correre per le presidenziali in Iran. La domanda che in tanti si sono probabilmente fatti è se in Iran una donna potesse essere eletta come presidente. La risposta è si, dal punto di vista teorico non esiste una norma nella Costituzione iraniana che vieti una candidatura al femminile.
Dalla teoria alla pratica il passo però è lungo e non sempre coincide. In questo caso specifico, a frenare ogni velleità ci ha pensato ancora una volta il Consiglio dei guardiani con potere di veto, che finora non ha mai ammesso una candidata donna.
Certo, di donne che hanno ricoperto un ruolo politico nei vari governi che si sono succeduti in Iran fino a oggi ce ne sono state: si pensi, ad esempio, alle 17 deputate elette in parlamento nel 2016, alla vice presidente con delega alle politiche ambientali Masoumeh Ebtekar nominata da Hassan Rouhani, oppure alla vice presidente Farahnaz Torkestani scelta dal predecessore Mahmoud Ahmadinejad.
Il nome di Marzieh Vahid-Dastjerdi è circolato negli ambienti conservatori i cui esponenti si sono mostrati pronti a puntare su una candidata per sfidare il presidente in carica Hassan Rouhani, al fine di catturare consensi ed evitare di presentarsi alle dodicesime elezioni presidenziali divisi come nel 2013.
(Qui sotto Marzieh Vahdi-Dastjerdi, ex ministro e possibile avversaria di Rouhani alla presidenza iraniana: Credit: Reuters)
Una mossa che può suonare strategica e innovativa al tempo stesso, accolta almeno in apparenza con entusiasmo dall’opposizione riformista iraniana, ma che non cambia l’assetto di fondo ossia convogliare preferenze su un altro candidato che non sia il favorito Hassan Rouhani.
Su questo punto si è soffermata in un’intervista all’agenzia di stampa iraniana Isna, Parvaneh Salahshoori, membro riformista del parlamento e capo della fazione femminile, che ha accolto con favore la potenziale candidatura di Dastjerdi annunciata il 16 gennaio scorso, affermando che: “La sua presenza alla corsa elettorale è una buona idea se si vuole dividere il voto di Rouhani. Tuttavia, lei non ha il carisma necessario per sconfiggere Rouhani”.
I media moderati e riformisti iraniani hanno dedicato diversi articoli alla questione sulla possibile candidatura di Dastjerdi e ai vantaggi che ciò avrebbe apportato. In primo luogo, la candidata conservatrice avrebbe rappresentato un reale pericolo per Rouhani e sarebbe stata lei la sua principale rivale. In secondo luogo, avrebbe rotto finalmente un tabù migliorando di gran lunga l’immagine internazionale dell’Iran.
Tuttavia, la corsa di Marzieh Vahdi-Dastjerdi è terminata con largo anticipo.
Perché in Iran non è escluso che una donna possa candidarsi alla presidenza
A stabilire le condizioni affinché un candidato possa correre alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran è l’articolo 115 della Costituzione iraniana, in cui si parla di includere i “rijal che devono essere iraniani, dirigenti e pensatori”.
Il punto chiave del dibattito risiede nell’interpretazione del termine “rijal”, una parola araba che può significare “dignitario”, “personalità” ma anche “uomini” nella sua accezione più generale.
A sostegno di questa interpretazione gioca un ruolo fondamentale anche il fatto che nella lingua persiana non vi sia una distinzione di genere. Molti esperti legali e alcuni membri del Consiglio dei guardiani hanno optato per il significato più ampio del termine, sottolineando come non ci fossero problemi a una candidatura femminile.
Il 31 dicembre 2016, il portavoce del Consiglio dei Guardiani, Abbas Alì Kadkhodaei ha spiegato ai giornalisti che “non ci sono ostacoli per le donne che decidono di registrarsi come candidate alle presidenziali”. Quindi, dal punto di vista teorico, la legge iraniana non vieta alle donne di correre per la presidenza.
Come ben si sa, in seno alla politica iraniana nulla può essere dato per scontato, e nel giro di pochi mesi le posizioni sono mutate: le reazioni fra i cosiddetti conservatori-principalisti sono state innumerevoli e tutte diverse fra loro: mentre alcuni media avevano accolto favorevolmente la potenziale candidatura di Dastjerdi, il sito conservatore Tabnak, vicino a Mohsen Rezaei, attuale segretario del Consiglio per il Discernimento della Repubblica Islamica dell’Iran, ha pubblicato un commento che dice: “Quali obiettivi si celano dietro la diffusione delle voci insistenti su una possibile candidatura di Dastjerdi? Non mettiamo in dubbio la sua idoneità, ma questo somiglia a un progetto pianificato”.
Chiamata in causa, la ex ministra del governo Ahmadinejad si è limitata a dissipare queste voci sempre più insistenti, negando ogni possibilità di candidarsi nel corso di una conferenza stampa tenutasi a gennaio.
Dal verdetto emesso il 20 aprile scorso dal Consiglio dei Guardiani, l’ipotesi che una donna potesse presentarsi come la degna rivale di Hassan Rouhani è tramontata definitivamente. Ora i sei candidati confermati avranno sette giorni per condurre la propria campagna elettorale. Salvo improvvisi colpi di scena.
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