In questi giorni sugli scaffali delle librerie di Parigi si trova in bella mostra un libro dalla copertina bianca con dei profili rossi. Difficile non notarlo. Il suo titolo è “La Familia Grande“. L’autrice, la giurista Camille Kouchner. Questo piccolo libro è all’origine di uno scandalo che ha permesso, per usare un’espressione cara al governo francese, di ‘liberare la parola’ sulle violenze sessuali.
Nel libro la Kouchner racconta degli abusi sessuali che suo fratello gemello (Victor, un nome fittizio per proteggerne l’anonimato) subì all’età di 14 anni dal suo patrigno, Olivier Duhamel, un ben noto politologo francese che insegnò fino a pochi mesi fa nella prestigiosa università Science Po, opinionista televisivo e presidente dell’influente Fondazione Nazionale di Scienze Politiche.
In altre parole, un personaggio di punta di quell’establishment intellettuale francese che da sempre mantiene strettissimi rapporti con il potere politico. I fatti di cui si occupa il libro risalgono alla fine degli anni ’80. Molto indietro nel tempo perché per molto tempo l’autrice ha dovuto lottare per trovare il coraggio di raccontare le violenze confidatele dal fratello. Più in generale il libro presenta il ritratto desolante di una grande famiglia dell’alta borghesia progressista che sembrerebbe aver nascosto dietro un muro di omertà l’ignobile violenza su di un minore.
Le critiche dell’autrice si rivolgono soprattutto alla madre, Évelyne Pisier, intellettuale femminista e professoressa alla Sorbona. In un passaggio nel libro, la Kouchner ci racconta come la madre coprì le violenze commesse dal marito e le disse che la colpa per quei fatti fosse sua, di Camille, colpevole per non averne parlato. Si tratta di una motivazione dalla logica a dir poco folle, ma tristemente comune. Coloro che proteggono l’aggressore di turno cercano spesso di convincere l’interlocutore che la responsabilità delle violenze è da attribuire alle vittime che non sono state abbastanza attente da impedirle.
Per quanto assurdo, un tale discorso riesce a far breccia nella personalità fragile delle vittime, soprattutto quando costoro non sono credute o semplicemente ascoltate. E in tal modo la violenza è interiorizzata e la si porta con sé negli anni. Come se non avesse mai realmente fine. Pubblicato ai primi di gennaio, “La Familia Grande” ha un immediato successo editoriale e attira l’attenzione della stampa. Le Monde gli dedica un’inchiesta. Altri quotidiani e riviste faranno lo stesso.
Senza citare la Kouchner, in un messaggio video, Macron loda “il coraggio di una sorella che non poteva più tacere”. E il muro di omertà comincia a sgretolarsi un poco. Arrivano anche le prime dimissioni. Quelle di Duhamel da tutte le cariche che ricopriva. Dopo settimane di proteste studentesche e di una parte del personale docente, il 9 febbraio giungono anche quelle di Frédéric Mion, presidente di Science Po.
Mion fu informato delle accuse riguardanti Dumanel già nel 2018, ma non fece nulla. Anzi, sembrerebbe che abbia perfino raccomandato discrezione in proposito. Il solito muro di omertà dietro il quale si nascondono i potenti di turno e i molti che ne prendono sempre le difese, intimoriti dal fatto che fare luce sui possibili crimini commessi dai membri di primo piano di un sistema di potere possa mettere in discussione i privilegi acquisiti e la sopravvivenza stessa del sistema.
Che si tratti di potere intellettuale (come nel caso in questione), politico o economico, poco cambia. La liberazione della parola sull’incesto grazie al coraggioso libro della Kouchner ha aiutato a scoperchiare il velo sulla diffusione delle violenze sessuali negli istituti universitari di studi politici.
Nelle ultime due settimane sui social network l’hashtag #SciencesPorcs ha riscosso un’eccezionale popolarità. Decine di giovani studentesse di Bordeaux, Grenoble, Parigi, Strasburgo e Tolosa hanno parlato degli stupri subiti e dei tentativi di abusi sessuali che avrebbero avuto luogo durante gli eventi organizzati dalle loro università o da compagni di corso in attività sociali.
Sebbene i fatti descritti debbano ancora essere accertati dalla magistratura, l’ampiezza di una tale ondata di testimonianze lascia sbalorditi, come ha ammesso il portavoce del governo francese. Anche se soltanto una parte dei fatti denunciati fosse vera, ci troveremmo comunque di fronte ad un sistema educativo in cui le violenze sessuali sono un costume diffuso e, almeno finora, l’omertà ne è stata la regola.
Ci si può chiedere quale legittimità morale possano mai avere quelle istituzioni universitarie le cui più alte autorità hanno protetto i personaggi illustri che vi hanno insegnato, come nel caso Duhamel, o che non si sono accorte degli abusi di cui sono state vittime le proprie studentesse.
Sembra che il tanto mediatizzato movimento #MeToo abbia messo in luce soltanto una parte delle violenze sessuali comunemente commesse nelle nostre società ossessionate dal politicamente corretto, ma molto meno attente a proteggere le vittime di abusi. È il caso di andare oltre, contrastando l’omertà. Con coraggio.
Leggi anche: Cosa ci insegna la rivolta delle donne polacche contro il divieto di aborto
Leggi l'articolo originale su TPI.it