«In UK illegalmente? Tornatene a casa tua o verrai arrestato!». La minaccia campeggiava a caratteri cubitali sui mega-poster stampati dal ministero dell’Interno inglese, che nel luglio scorso sguinzagliava una squadra di furgoncini perché li portassero in giro per Londra. Possibilmente nei quartieri più multiculturali della capitale, visto che l’obiettivo della campagna era incoraggiare gli immigrati illegali ad autodenunciarsi.
Sotto la minaccia, il ministro conservatore Theresa May aggiungeva una spolverata di concretezza indicando il numero di arresti per reato di clandestinità effettuati dalla polizia inglese nell’ultima settimana. E poi un tocco di pragmatismo: il numero di telefono da chiamare per condannarsi alla deportazione immediata nel proprio Paese di origine.
Il portavoce del ministero dell’Interno ha rispedito al mittente ogni accusa di razzismo: «La campagna era mirata a incoraggiare gli immigrati illegali a lasciare il Paese volontariamente e non mirava a colpire alcun gruppo razziale o etnico particolare».
Londra, Chinatown. Negli ultimi mesi la “UK Border Agency” ha portato a termine 13 raid a caccia di immigrati illegali nel quartiere. Mentre il ministro dell’Economia George Osborne e il sindaco della capitale Boris Johnson viaggiavano nel loro Paese d’origine, la Cina, a caccia di facoltosi investitori, i cinesi della City pativano l’inasprirsi delle sempre più frequenti retate della polizia.
«E’ una piaga anche per noi che abbiamo tutte le carte in regola. Questo tipo di interventi sono una maledizione per i nostri affari», lamenta Mei Lee, che gestisce un ristorante. «E’ una forma di razzismo, proprio come i furgoncini del “tornatene a casa”», aggiunge.
La svolta anti-immigrazione del governo Cameron sembra inarrestabile: qualche giorno fa il ministro May ha addirittura minacciato di ritirarsi dalla Convenzione europea sui diritti umani onde evitare che i 70mila stranieri che vengono espulsi dal Paese ogni anno possano farvi appello. Ma come mai l’intolleranza ha improvvisamente preso il sopravvento sui Tory?
Secondo i sondaggi di Yougov, la compagnia di ricerca più utilizzata nel Regno Unito, il sentimento anti-immigrazione è in fortissima crescita nel Paese. Nel 2005 il rapporto fra quelli che ritenevano giusto che «le persone siano libere di vivere e lavorare dove vogliono nell’Unione Europea» e quelli contrari era di due a uno (56 per cento sì, 29 per cento no, 15 per cento “non sa”). Adesso è l’opposto: il 49 per cento è contro la libertà di movimento nell’Unione, solo il 38 per cento a favore.
«L’immigrazione è la principale ragione di malcontento del pubblico inglese verso l’UE: l’appartenenza all’Unione significa che il governo non può porre restrizioni ai flussi provenienti dai paesi membri», spiega Jonathan Hopkin, professore di politica comparata alla London School of Economics. «I flussi sono significativi in particolare da Romania e Polonia: dal 2004 sono arrivati un milione di immigrati europei di cui due terzi polacchi». Sempre secondo Yougov il 55 per cento dei cittadini Britannici ha valutato positivamente l’operazione “furgoncini anti-immigrati”, mentre solo il 35 per cento sarebbe contrario. Il 61 per cento del pubblico inglese pensa che i poster non siano razzisti, contro un 31 per cento che pensa che lo siano.
Cameron sta cercando di adattare le proprie politiche alle tendenze intercettate da questi sondaggi, guardando alle elezioni generali del 7 maggio 2015. L’incubo è che ad approfittare dell’atmosfera d’intolleranza sia solo l’ultradestra dell’Ukip, partito spesso associato alla nostra Lega Nord ma simile al Movimento 5 Stelle per anti-europeismo e retorica anti-establishment. Il suo programma non va per il sottile: blocco totale dell’immigrazione per almeno cinque anni e immediata espulsione di tutti gli immigrati illegali, oltre all’abbandono istantaneo dell’Unione Europea.
Il partito, guidato dal parlamentare europeo Nigel Farage, potrebbe portare via a Cameron quei pochi punti percentuali che gli servirebbero per raggiungere i Laburisti di Ed Miliband. Secondo i sondaggi più recenti, condotti tra i cittadini britannici intenzionati a votare alle prossime elezioni, i Laburisti sarebbero oggi il primo partito con il 37 per cento dei voti, seguiti dai Conservatori con il 34 per cento, dai Liberal-Democratici con il 12 per cento e dall’Ukip con il 9 per cento. Anche se l’Ukip difficilmente riuscirà ad entrare a Westminister, il successo del suo oltranzismo anti-Europa e anti-immigrazione ne fanno il potenziale boia di David Cameron. Come chiosa Jonathan Hopkin: «ogni voto in più per l’Ukip è un voto in meno per lui».
Riconquistare l’elettorato oltranzista dell’Ukip ed evitare di perdere quello degli squali di casa propria non è però una “mission impossible” per David Cameron. Gli ultimi sondaggi di Yougov dicono che il 68 per cento degli attuali sostenitori dell’Ukip sarebbe pronto a votare i Conservatori se questi si «impegnassero a limitare l’immigrazione» e il 65 per cento farebbe lo stesso se promettessero di «uscire dall’Unione Europea». Il 70 per cento ha detto che voterebbe Tory «se il governo limitasse benefici e servizi per gli immigrati».
La missione sembra possibile insomma, e il Primo Ministro è già in campo per portarla a termine. Chi ne farà le spese?