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    In Burundi hanno tentato un colpo di stato

    Il generale Godefroid Niyombareh ha dichiarato rimossi dai loro incarichi il presidente Nkurunziza e il suo governo, ma fonti presidenziali smentiscono

    Di Vittoria Vardanega
    Pubblicato il 13 Mag. 2015 alle 17:31 Aggiornato il 9 Set. 2019 alle 19:30

    In Burundi i militari guidati dal generale maggiore Godefroid Niyombareh hanno dichiarato un colpo di stato mercoledì 13 maggio.

    Il generale ha annunciato di essere al lavoro con leader religiosi, politici e gruppi della società civile per formare un governo di transizione, dopo la destituzione del presidente Pierre Nkurunziza e del suo esecutivo. 

    Niyombareh ha inoltre ordinato la chiusura delle frontiere e dell’aeroporto di Bujumbura, la capitale del Burundi. Il presidente Nkurunziza, che si trovava in Tanzania per un vertice con gli altri leader della regione, sta tentando di fare ritorno nel Paese. 

    L’ufficio presidenziale ha dichiarato nel pomeriggio di mercoledì stesso, che il colpo di stato è stato sventato, e che i responsabili saranno ricondotti alla giustizia.

    “I responsabili di questo colpo di stato immaginario, annunciato alla radio, sono al momento ricercati dalle forze di difesa e di sicurezza del Paese”.

    Precedentemente fonti presidenziali avevano negato la dichiarazione di Niyombareh, che è un ex capo dei servizi segreti, rimosso dal suo incarico lo scorso febbraio per volontà del presidente Nkurunziza, ed ex ambasciatore del Burundi in Kenya.

    “La situazione è sotto controllo, non c’è un colpo di stato in atto in Burundi”, si legge in un tweet di questa mattina, sull’account ufficiale della presidenza del Paese.

    “Consideriamo la mossa del generale come una specie di scherzo, non come un colpo di stato”, ha dichiarato a Reuters Willy Niyamitwe, collaboratore presidenziale.

    —Leggi: “Le proteste in Burundi contro il presidente”  

    In seguito all’annuncio, una folla di persone si è riversata nelle strade di Bujumbura, capitale del Burundi, festeggiando e cantando. I soldati hanno circondato l’edificio dell’emittente televisiva nazionale. 

    “Il presidente Nkurunziza è stato rimosso dal suo incarico, così come il governo, in seguito alla sua decisione di violare la costituzione, e di ignorare i richiami della comunità internazionale”, ha riferito il generale ad alcuni giornalisti locali, in una caserma militare di Bujumbura, circondato da diversi ufficiali dell’esercito e della polizia, incluso un ex ministro della Difesa.

    L’annuncio del colpo di stato è arrivato dopo più di due settimane di proteste, scoppiate nella capitale domenica 26 aprile in seguito alla decisione di Nkurunziza di candidarsi per la terza volta come capo dello stato, in vista delle elezioni presidenziali del 26 giugno 2015.

    La costituzione del Burundi tuttavia prevede un massimo di due mandati presidenziali consecutivi, impedendone un terzo. Nel corso delle ultime tre settimane, più di venti persone avrebbero perso la vita durante gli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine, secondo il conteggio non ufficiale degli attivisti. 

    —Guarda la gallery: Le immagini della protesta in Burundi 

    Il ministro degli Esteri sudafricano ha dichiarato che la situazione in Burundi viene tenuta sotto controllo, ma che per il momento è troppo presto per stabilire se la mossa del generale può essere considerata un colpo di stato. 

    Nelle scorse settimane diversi Paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti e i membri dell’Unione Europea, avevano criticato la ricandidatura di Nkurunziza. 

    Funzionari diplomatici di Unione Europea e Belgio – di cui il Burundi era una colonia – hanno riferito a Reuters che a causa delle violenze scoppiate nel Paese sospenderanno alcuni degli aiuti destinati al Paese, e in particolare il loro sostegno per le elezioni.

    Il governo belga inoltre non ha commentato l’annuncio del generale che ha tentato il colpo di stato nel Paese.

    Finora, più di 50mila persone sono fuggite dal Burundi verso i Paesi confinanti. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha dichiarato che, se la crisi dovesse peggiorare, fino a 300mila persone rischiano di essere sfollate.

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