Il secondo golpe dell’anno in Burkina Faso è stato motivato dalla giunta militare guidata dal capitano Ibrahim Traoré nel modo seguente: “Abbiamo deciso di prenderci le nostre responsabilità, animati da un solo ideale, la sicurezza e l’integrità del nostro territorio”. In effetti il paese è logorato al nord dai gruppi djihadisti che hanno preso il controllo di diverse regioni, come la provincia di Kaya, da dove viene Traoré.
Eppure dal 2015 sembrava che in Burkina Faso il popolo potesse riprendere in mano il proprio destino. Nel 2014 una rivoluzione ha fatto cadere il presidente Blaise Compaoré, in carica da 27 anni e salito al potere dopo l’uccisione dalla Francia del rivoluzionario Thomas Sankara, figura ancora predominante nelle coscienze dei burkinabé. L’anno successivo furono indette le prime elezioni libere e democratiche nella storia del paese, che, liberatosi dall’usurpazione delle cariche istituzionali, non è riuscito a liberarsi dal giogo economico imposto dalle aziende, sopratutto estere, impegnate nell’estrazione dell’oro e delle sue altre risorse, come il cotone, del quale è il primo esportatore.
La povertà ha continuato a pesare sulla popolazione, con il governo che ha mantenuto un regime fiscale molto vantaggioso per gli investitori esteri. Grazie alla miseria, le milizie hanno trovato migliaia di giovani da reclutare in questo nuovo territorio di mira dell’Isis. La rabbia si è riversata anche contro la Francia, che ha conservato una presenza militare costante nel paese, ed è sospettata dalla popolazione di voler sostenere la giunta precedente guidata da Paul-Henri Damiba. Alcuni manifestanti hanno tentato di entrare nell’ambasciata e hanno attaccato il centro culturale francese.
Mentre i media nazionali trattano poco/niente gli avvenimenti in Burkina Faso, ci sono diverse aziende europee che hanno gli occhi puntati sulla situazione, preoccupate per i loro siti estrattivi e per i loro guadagni, sopratutto francesi (sono all’incirca cento le filiali di aziende francesi nel paese), ma anche svizzere (Metalor), canadesi (Nexus Gold Corp), statunitensi (Newmont), russe (Nordgold) e altre ancora.