Lo scorso 4 dicembre è uscito ufficialmente il cofanetto musicale The Ties That Bind: The River Collection, regalo natalizio offerto (per modo di dire, considerato il costo piuttosto ingente) dalla premiata ditta Bruce Springsteen & the E Street Band.
Il box set altro non è che la riedizione del classico The River, doppio album del 1980, per l’occasione vestito a festa con una serie di extra che faranno la felicità di fan del Boss e generici appassionati del rock vecchia maniera.
Una delle novità è innanzitutto un prezioso documentario di Thom Zimny, che vede protagonista lo Springsteen del 2015 intento a ripercorrere la storia del disco, dall’iniziale lavoro certosino in studio per selezionare una manciata di pezzi tra le decine a disposizione, fino al grande successo di pubblico (fu il suo primo lavoro a raggiungere il primo posto nella classifica di Billboard), e al lunghissimo tour che ne seguì.
A documentazione di quella tournée, degna di nota perché molte nazioni europee ebbero allora per la prima volta l’occasione di apprezzare dal vivo le straordinarie doti di trascinatore di Springsteen sul palco, il cofanetto include la versione Dvd o Blu-Ray di un concerto tenutosi in Arizona il 5 novembre 1980, con più di due ore e mezza di performance. Paradossalmente, solo una porzione dello show di quasi quattro ore che si tenne quella sera.
In uno spettacolo a metà tra estasi rock ‘n roll e commento sociale, degno di nota il commento dal palco del rocker, che allora cominciava a esternare le convinzioni politiche che lo avrebbero portato a fare campagna per Obama e Kerry, rispetto all’elezione del presidente Reagan avvenuta il giorno prima: “Non so voi cosa pensiate di quello che è successo ieri sera, ma a me fa piuttosto paura”.
Lo Springsteen trentenne che si vede sul palco è un concentrato di adrenalina, incapace di darsi requie, guidato da una forza sciamanica costante che lo trascina in cima agli amplificatori o in mezzo al pubblico, supportato da una E Street Band nella sua formazione classica e nella sua forma migliore.
Un’ulteriore sezione del cofanetto è quella dedicata al musicista in studio, con la presenza di due dischi dedicati alle canzoni incise all’epoca che però non finirono sul disco originale (e che i fan troveranno interessanti come versioni embrionali di pezzi futuri), e un disco singolo intitolato proprio The Ties That Bind. L
eggenda narra infatti che nel 1979 Springsteen fosse ormai prossimo a far uscire un disco con questo nome e quelle canzoni, ma all’ultimo momento, preso dal suo inguaribile perfezionismo, decise di prendersi un altro anno di tempo per dare alle stampe un disco doppio, il primo della sua carriera.
E in fondo, tra le tante chicche che fanno da contorno a questa uscita, gli ottanta minuti originali di The River restano il fulcro da cui tutto il resto si sprigiona. Inserito nella tradizione dei grandi dischi doppi del classic rock, da Blonde on Blonde di Dylan a Exile on Main Street degli Stones, l’album è un caleidoscopio di atmosfere, dalle più gioiose alle più lugubri, che ne fanno un ottimo compendio dell’attitudine in equilibrio tra esaltazione liberatoria e autoanalisi dolente dell’autore.
Il filo rosso che unisce il ritmo frizzante di Hungry Heart (inizialmente pensata per essere addirittura offerta ai Ramones) e le strofe dolorose di Independence Day è probabilmente quello di un uomo che, dopo aver cantato la fuga dalla provincia, la ribellione allo status quo, la forza combattiva di chi resiste, si trova per la prima volta ad affrontare i temi adulti della famiglia, della condivisione, del contrasto tra desiderio di libertà e fedeltà rispetto ai rapporti umani. Insomma, quei “ties that bind”, i legami forti che uniscono e che nonostante tutto è difficile rinnegare.
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