Lo spoglio dei voti è completo, la Turchia ha deciso: sì al Referendum. Un sì risicato, poco più di due punti percentuali che disegnano un paese spaccato. Per le strade delle maggiori città comincia la festa. Bandiere turche attaccate ai finestrini delle auto, clacson e musica. Yildrim ringrazia pubblicamente il leader dei nazionalisti Devlet Bahçeli, mentre Erdogan si presenta davanti alle telecamere per chiedere agli avversari e agli stati stranieri di rispettare il risultato. Ma Bulent Tezcan, vice Presidente del Chp, non è d’accordo, “Daremo il via a una battaglia legale. Bisogna intervenire sulle irregolarità, altrimenti metteremo in discussione la legittimità del processo”.
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Tweet, video e indiscrezioni: nel corso della giornata sui social sono emerse numerose anomalie nella votazione. “Ovviamente eravamo già consapevoli che il processo di voto non sarebbe stato chiaro e onesto”, dice Umut, attivista e scrutatore ai seggi di Diyarbakır, principale città curda nel sud est del Paese. “Hanno utilizzato tutti i poteri a loro disposizione per vincere: militari, polizia, forze di sicurezza e soldi”. Alle 14:20 dalla prigione di Kırıklar, Izmir, un prigioniero di nome Şefik Öztekin ha chiamato la famiglia dichiarando che a 25 condannati per reati politici è stato impedito di votare. Nello stesso distretto, diversa città, quella di Karaağaç, Semra Uzunok, membro dell’Hdp è stata arrestata mentre votava. Il giornalista Ali Bayramoglu, sostenitore del No, è stato aggredito a Istanbul all’uscita del seggio da un gruppo di 30 persone. Alla scuola Dernegi di Karapurcek, come confermato dalla testata Afn, sarebbero 184 i voti espressi su schede senza il timbro ufficiale. Voti tecnicamente nulli, trasformati in validi.
Ma è nell’est del Paese che si sono riscontrate le irregolarità più gravi. “Questo referendum non è stato né libero né corretto”, dice Stefan Schennach, membro del Pace e osservatore internazionale nell’area di Mardin. Alla delegazione internazionale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) è stato impedito l’accesso ai seggi di Diyarbakır senza alcuna motivazione da parte delle autorità, mentre i membri dell’Efa (European free alliance) del Parlamento europeo sono stati aggrediti dalla polizia a Silvan. “Lavoriamo in questa regione dagli anni ’90, ma non abbiamo mai subito simili attacchi”, denuncia Lorela Natalle, vice presidente del gruppo. Ma Umut precisa: “Sono le zone rurali quelle più colpite dai brogli”. Un video, divenuto virale durante il voto, mostra il mukhtar del villaggio di Catlibasi, distretto di Mus, accompagnare un cittadino all’interno della cabina elettorale. La redazione della Gazete Sujin, testata con sede a Diyarbakır e da sempre vicina alle tematiche relative alla minoranza curda, conferma la veridicità delle immagini. Il video continua: l’uomo esce dalla cabina e inserisce nell’apposito box cinque tessere elettorali. “Nel 2015 ho fatto da osservatore ai seggi e le scene sono state praticamente le stesse – ci dice Umut, concludendo – i capi villaggio prendono in consegna le tessere elettorali dalle famiglie e votano per tutti”.
VIDEO: In Çatbaşı village of Muş, mukhtar (village head) comes out of the voting cabin with five envelopes. #TurkeyReferendum pic.twitter.com/iXHz4gEJ2U
— Turkey Untold (@TurkeyUntold) 16 aprile 2017
Il sistema, che sembra quindi ripetersi ad ogni appuntamento elettorale, prevede, però, anche l’intimidazione e la violenza fisica nel caso non si accetti la decisione del capo villaggio. Nel distretto di Agri, a Patros, il mukhtar ha impedito con la forza ai cittadini di recarsi alle urne, mentre a Urkut è stato persino proibito agli elettori di avvicinarsi all’area dei seggi.
Tensioni e scontri si sono susseguiti durante tutta la giornata di voto. Nel distretto di Diyarbakır, a Cermik, come confermato da Mete Sohtaoglu, giornalista turco, tre cittadini sono stati uccisi da supporter dell’Akp. Abdülrezzak Yıldız e i suoi figli Şeyhmus Yıldız e Idris Yıldız avevano accusato i membri del Partito presenti alle urne di aver votato anche per alcuni cittadini assenti. A Ercis, distretto di Van, come confermato dalla redazione di Gazete Sujin, gli elettori sono stati minacciati ripetutamente da membri del partito di governo a votare sì. Nel distretto di Eleskirt, villaggio Toprakkale, ai cittadini è stato imposto di votare apertamente. La stessa anomalia è stata riportata anche dagli elettori di Erhanci, distretto di Igdir, dove persone con la tessera del partito Ak hanno imposto di votare Sì alle persone nei seggi e intimato agli ufficiali di voto di mostrare le schede depositate.
Nell’area di Cizre la tensione è sfociata in paura. Molti elettori, dopo aver espresso la propria preferenza, hanno deciso di rimanere all’interno degli edifici scolastici per timore di ritorsioni. La città sembra sotto assedio: forze di sicurezze e militari girano tra i vicoli, blindati davanti ai seggi, si ostacola la possibilità di recarsi alle urne.
Altri video, altre indiscrezioni: le pagine Facebook e gli account Twitter vicini alle opposizioni trasmettono le immagini di schede elettorali timbrate Sì in serie e depositate nei box dei seggi. Erdogan ha vinto, ma le procedure di voto appaiono tutto meno che pulite. Il tono dimesso del presidente turco, davanti alle telecamere dopo l’ufficializzazione del successo elettorale, è il frutto di una non vittoria. Minacce, tensioni e brogli, alla luce dei fatti il 48,7% del no è una “non sconfitta”.
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