Brexit, manca un mese (forse)
A un mese dalla scadenza Brexit siamo ancora qua senza nulla di concreto. Ci sarà la Brexit o non ci sarà?
Si sono avvicendati tre Primi Ministri e due diversi parlamenti.
Per tre volte ci si è avvicinati alla data di uscita, e per tre volte la palla è stata rinviata avanti, sino ad arrivare alla data del 31 ottobre.
Il 31 ottobre è vicino, e il Premier Boris Johnson questo appuntamento non vuole farselo scappare.
La situazione è andata sempre peggiorando. Dimissioni, parlamentari espulsi e una maggioranza che a Westminster non esiste più.
Boris Johnson le sta davvero tentando tutte pur di forzare l’uscita e buttare la palla oltre la linea. Ha espulso 21 ribelli e ha sospeso il Parlamento per un mese, poi fermato dalla Corte Suprema che ne ha autorizzato la riapertura.
Al momento non ha più la maggioranza.
Il Premier con il tempo è stato messo all’angolo dal Parlamento, che già aveva costretto Theresa May a rinviare l’appuntamento.
I parlamentari in un accordo interpartitico hanno fatto passare una legge, il Benn Act, che costringe il Premier a richiedere il rinvio per altri tre mesi, sino al 31 Gennaio, se alla fine del Consiglio Europeo del 19 ottobre non avrà ottenuto un nuovo accordo di uscita con l’Unione Europea.
Le opposizioni hanno i numeri per fare cadere il governo e indire le nuove elezioni, ma temono che il Premier, una volta sfiduciato, possa stabilire la data delle nuove elezioni oltre il 31 ottobre facendo in modo che il Regno Unito possa uscire senza accordo e accontentando la parte più ortodossa del partito che vuole un taglio netto con l’Ue.
Il rischio è che Johnson, quindi, una volta sfiduciato possa volontariamente fare tenere le elezioni dopo la data con le opposizioni a quel punto con le mani legate poichè avrebbero già sfiduciato il suo governo. Paradossalmente, è tenuto in vita dalle opposizioni che non si fidano.
È vero, le opposizioni hanno approvato la legge che dovrebbe fare stare tranquilli. Ma non si fidano di Boris Johnson perché dopo che ha sospeso il Parlamento per un mese ha creato nelle opposizioni il sentore che possa letteralmente disattendere quanto prescrive la legge e forzare la mano uscendo senza accordo il 31 ottobre.
Certo, il Regno Unito è uno stato serio, ma non ha una costituzione scritta come nel caso italiano e la legge si articola su interpretazioni, convenzioni e consuetudini secolari. Quindi, da amebdue le parti l’attenzione è massima su come una legge viene scritta, interpretata e implementata.
Le opposizioni, per esempio, starebbero cercando di scrivere una legge per cui se il Premier si rifiutasse di chiedere a Bruxelles il rinvio, possa essere un altro a chiedere all’Ue di rinviare la data di uscita (come per esempio lo Speaker).
In questo caso formerebbero una larga coalizione per sfiduciare Boris Johnson, e creare un governo di allenaza trasversale per poter fissare la data delle elezioni. Dovrebbero trovare un candidato condiviso da tutte le parti. Per poter andare alla urne è necessario un tempo minimo di 5 settimane in cui viene fatta la campagna elettorale.
I laburisti per adesso darebbero la parola ai cittadini, promettendo di schierarsi per il Remain, così come l’SNP. I Lib-dems, invece, puntano proprio alla revoca dell’articolo 50 annullando la richiesta di uscita e l’esito del referendum del 2016. I Conservatori, invece, cosi’ come il Brexit Party, non si porrebbero problemi (apparentemente come Johnson sostiene) ad uscire anche senza accordo.
Perché il referendum ha fatto venire a galla tante problematiche che prima della votazione probabilmente non si conoscevano. Fra i più importanti il confine fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Ma anche debiti da liquidare con l’Ue, gestione del commercio e chiarezza su quali futuri rapporti si debbano intrattenere con l’accordo di ambedue le parti. In parole povere, si è votato per uscire, ma senza sapere la modalità.
Gli unici partiti che possono teoricamente andare al potere sono quattro per il semplice motivo che hanno candidati in tutte le circoscrizioni. L’Snp infatti, pur essendo ben rappresentato in Parlamento, è indipendentista e quindi presenta candidati solo nelle circoscrizioni della Scozia.
I partiti in ballo sarebbero quindi, tecnicamente, il Brexit Party, il Partito Conservatore, il Partito Laburista e il partito dei Liberal- Democratici.
In un nuovo governo potrebbe fare l’ago della bilancia lo Scottish National Party, che chiaramente può fare valere il suo largo consenso come ampio peso specifico nel nuovo governo, a patto che si faccia fare un secondo referendum Brexit. (Ed eventualmente quello sull’indipendenza che richiede l’autorizzazione del governo centrale).
Da tenere d’occhio anche gli altri piccoli partiti territoriali come il DUP in Nord-Irlanda (che appoggia l’attuale governo) o il Plaid Cymru in Galles che esprimono solitamente pochi parlamentari ma che con i numeri risicati potrebbero essere decisivi. Nelle ultime tornate elettorali, infatti, l’elettorato si è espresso mostrando un significativo consenso verso i partiti minori e abbattendo il bipolarismo fra Laburisti e Conservatori.
Questa è una domanda a cui si risponde così.
Ci sarà la Brexit se Boris Johnson concluderà un accordo entro il 19 ottobre al Consiglio Europeo, altrimenti sarà rinviata al 31 gennaio per poi vedere come si comporterà il nuovo governo, sia esso di transizione o di nuova nascita, sempre che Boris Johnson venga sfiduciato e che le elezioni le vincano i suoi avversari. Per adesso, infatti, in testa nei sondaggi, sono ancora i Conservatori il partito da battere.
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