In Brasile è in corso una vera e propria rivolta civile da parte dei sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro, uscito sconfitto dalle ultime elezioni contro il candidato di sinistra Lula: incendi nelle strade, disordini, lanci di sassi e scontri con la polizia si sono verificati nella capitale. Bolsonaro si è rifiutato di riconoscere il risultato delle urne e ha annunciato un ricorso, poi respinto dalla Corte suprema elettorale, basato su un presunto conteggio errato delle schede elettroniche. I suoi elettori più incalliti hanno riversato la loro rabbia nelle strade, in particolare dopo l’arresto di Acacio Serere Xavante, incarcerato per “minacce e atti intimidatori contro lo stato di diritto democratico”: avrebbe sfruttato la propria posizione per invitare altre persone a “commettere crimini” attraverso le proteste e avrebbe organizzato diverse manifestazioni di “carattere antidemocratico” davanti all’albergo dove alloggia il presidente eletto Lula.
La polizia ha cercato di disperdere i manifestanti utilizzando gas lacrimogeni e proiettili di gomma, ma questi ultimi hanno risposto con cariche e bastoni. Diversi autobus e auto sono stati attaccati e dati alle fiamme, negli scontri è stata ferita almeno una persona, secondo le autorità. Molti sostenitori di Bolsonaro hanno invocato l’intervento dell’esercito per impedire a Lula di prendere il potere, con una cerimonia che avverrà formalmente il primo gennaio a Brasilia. La squadra del presidente eletto ha smentito le notizie che lo vedevano fuggito dall’hotel in elicottero. Il ministro della giustizia entrante del Brasile, Flavio Dino, ha twittato che la sicurezza di Lula “sarà garantita”. Impossibile non tracciare parallelismi con quanto avvenne il 6 gennaio 2021, quando sostenitori di Donald Trump assaltarono Capitol Hill aizzati dall’ex presidente Usa che non riconobbe il risultato delle elezioni che avevano portato alla Casa Bianca Joe Biden.