San Paolo, la capitale economica del Brasile. Rio de Janeiro, nel sud-est del paese. E poi Recife, Belo Horizonte, Campo Grande, Porto Alegre e Salvador. Sono ottanta le città in cui ieri, martedì 13 agosto, migliaia di manifestanti sono scesi in strada per protestare contro i tagli all’istruzione adottati dal governo dell’ultra-destra di Jair Bolsonaro. È la terza protesta nazionale da quando, a maggio, l’esecutivo ha applicato nuove misure per equilibrare i conti pubblici.
A Rio de Janeiro, nonostante la pioggia, in centinaia hanno occupato sei isolati gridando slogan contro il congelamento delle risorse e contro il governo di Bolsonaro. A San Paolo le proteste si sono concentrate in Paulista Avenue, l’arteria principale della città, dove è stata contestata anche la riforma del sistema pensionistico appena approvata dalla Camera dei deputati e ora all’esame del Senato.
A Brasilia, docenti universitari e leader indigeni hanno sfilato a Esplanada de los Ministerios, centro del potere della capitale, stringendo in mano cartelloni contro le politiche educative del governo.
I manifestanti sono preoccupati che i tagli decisi dal nuovo esecutivo possano mettere a rischio la stessa sopravvivenza delle università statali, minando alla loro capacità di fare ricerca in modo indipendente.
Dall’arrivo di Bolsonaro al potere, l’educazione è diventata una terra di conquista designata per i settori più radicali dell’elettorato bolsonarista, determinato a rimuovere dall’aula qualsiasi traccia di “marxismo culturale”. Quando è entrato in carica lo scorso gennaio, il presidente si è impegnato a realizzare una crociata ideologica per sostituire i valori ultra-conservatori che lo hanno portato al potere ai principali risultati dei governi del Partito dei lavoratori di sinistra tra il 2003 e 2016.
Il ministro della Pubblica Istruzione, Abraham Weintraub, non ha ancora commentato le mobilitazioni. A maggio, Weintraub aveva annunciato tagli a tre università accusandole di aver ospitato dibattiti che includevano voci di sinistra.