Alcuni indigeni brasiliani sono riusciti a fermare la costruzione di una mega diga in Amazzonia che rischiava di sommergere le loro terre.
L’Agenzia brasiliana per le popolazioni indigene (Funai) ha tracciato i confini del territorio dei Munduruku, fornendo una base legale per richiedere la sospensione della Costruzione della diga idroelettrica di São Luiz do Tapajós.
Infatti, secondo la costituzione brasiliana, le popolazioni indigene hanno il diritto di decidere se consentire o meno al governo di usare la loro terra.
Ai Munduruku è stato riconosciuto un territorio di oltre mille chilometri quadrati noto come Sawre Muybu.
Questi indigeni hanno a lungo lottato per ottenere il riconoscimento dei loro diritti e in particolare la demarcazione dei confini della propria terra, per impedire al governo di portare avanti un progetto che li avrebbe allontanati per sempre dal loro territorio ancestrale.
Hanno intrecciato contatti con organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente e hanno persino portato la questione alle Nazioni Unite.
Benché l’ente brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali (Ibama) abbia sospeso la licenza per la costruzione della diga sul fiume Tapajós, rispondendo finalmente alle pressioni di indigeni e ambientalisti, la questione non è ancora chiusa.
Il governo brasiliano, che è stato criticato veementemente per i suoi mega progetti dall’impatto umano e ambientale devastante sia dai gruppi in difesa dei diritti umani sia dai gruppi ambientalisti, potrebbe ancora rovesciare la decisione dell’Ibama.
Tanto più che la crisi corrente del partito dei lavoratori della presidente Dilma Rousseff – che rischia l’impeachment – potrebbe riportare al potere i conservatori, notoriamente vicini agli interessi affaristici e poco attenti ai diritti delle popolazioni indigene sulla terra.
(nelle due immagini sotto il luogo dove era prevista la costruzione della diga, sul fiume Tapajós)
I leader Munduruku hanno vinto il premio Equator assegnato dalle Nazioni Unite durante la Conferenza sul clima di Parigi, nel 2015 (qui sotto il video prodotto da Greenpeace).
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