“But that’s Boris”: divisivo, fuori dalle righe, stravagante: ecco chi è il nuovo premier britannico
“But, that’s Boris”. Dicono così tutte le volte che il biondo britannico Boris Johnson, adesso nuovo premier, fa qualche gaffe di proporzioni industriali. È una “cassanata“ diremmo in Italia, ricordando le stravaganze calcistiche di Antonio Cassano. “Ma è così Boris”, è fatto così”, dicono da questa parti.
Adora Benjamin Disraeli e Churchill, ma ha uno stile tutto suo. Mica scherza Boris. O forse si.
Tre anni dopo. Già perché era il 24 giugno del 2016 quando David Cameron si dimise dopo avere perso di misura il referendum Brexit per il quale aveva sostenuto il Remain.
Tre anni dopo Boris avvera il suo sogno, sedersi sul gradino più alto di tutti.
Tre anni dopo la pugnalata di quello che una volta era il suo migliore alleato. Michael Gove, scozzese, cervello raffinatissimo, così dicono di lui.
La loro alleanza finì dopo che Michael diede retta alla moglie, ritirando l’appoggio all’amico e facendolo diventare ex, e annunciando la sua stessa candidatura alla corsa alla leadership, terminata con successo dall’allora Ministro dell’Interno Theresa May. Sappiamo tutti come è finita la storia.
Boris Johnson, forse, il lato politico del continente europeo l’ha sempre odiato. Ha radici profonde la sua diffidenza verso Bruxelles.
Ma andiamo per ordine.
L’ultra britannico Alexander Boris de Pfeffel Johnson nel Regno Unito non c’è nemmeno nato. Alexander è nato a New York nel 1964, ironia della sorte ha anche il passaporto americano, oltre che il sostegno aperto di una altro biondo, un tale Donald Trump. Il bisnonno di Boris, era addirittura turco, Ministro dell’Interno del defunto Impero Ottomano. Era musulmano e si chiamava Ali Kemal.
Non ci vivrà a lungo negli States, nemmeno se lo potrà ricordare e tornerà in Inghilterra quasi subito.
Intanto, nel 1973 il Regno Unito, entra nella “famiglia europea”.
La sorte vuole che il padre, Stanley Johnson, proprio quell’anno sia uno fra i primi britannici a lavorare a quella che allora si chiamava Comunità Economica Europea, portando chiaramente al seguito la sua famiglia.
Si, avete capito bene, il padre di Boris ha lavorato a Bruxelles, oltre a essere eletto parlamentare europeo dal 1979, e Boris ci ha vissuto da ragazzino per pochi anni. La mamma avrà problemi di salute, e il giovane Boris tornerà nel 1975 in patria, a frequentare la prestigiosa Ashdown House.
Ci tornerà ancora a Bruxelles, sempre per via dell’Unione Europea , nel 1989 (avrà questo nome nel 1993).
Il The Daily Telegraph – giornale per il quale tutt’oggi fa ancora l’editorialista – lo manda come corrispondente per gli affari europei. A fare il giornalista aveva iniziato con il The Times, ma durò poco, il prestigioso quotidiano lo licenziò per avere falsificatao delle dichiarazioni in un articolo.
“But that’s just Boris”.
Come detto, nell’anno del Signore 1989, quando cadeva il muro di Berlino per intenderci, Alexander Boris inizia a scrivere di Europa, non propriamente esaltandone le caratteristiche. Critico da subito, si contraddistingue per la sua penna spietata e appuntita.
Intanto Boris si è sposato. Nel 1987 ha portato all’altare Allegra Mostyn-Owen, senza poterle mettere l’anello al dito, perso il giorno stesso all’ingresso della Chiesa.
“But that’s Boris”.
In realtà non durerà tanto, anzi. Come dichiarato tempo dopo dalla Mostyn-Owen, “Il matrimonio è stato l’inizio della fine della nostra relazione”. Pratiche iniziate nel 1990 e divorzio ufficiale nel 1993.
Nello stesso anno, senza perdere tempo, si sposa con Marina Wheeler, il vero pilastro della sua vita, almeno sino al 2018, quando i due divorziano, e dalla quale avrà quattro figli.
La sua compagna adesso si chiama Carrie Symonds, classe 1988. I due vivono insieme in un appartamento a Sud di Londra. Poco tempo fa i vicini chiamarono la polizia perchè dalla casa si sentivano forti urla durante una vivace discussione fra i due nel cuore della notte. Niente di che.
“But that’s Boris”.
Nel 2001, Boris è da tempo un editorialista anche per il The Spectator, anno nel quale diventa parlamentare per la prima volta, e dove sotto pressione per l’aperto conflitto d’interessi dirà quello che è sempre stato il suo concetto principale: “I want to have my cake and eat it”, ossia un modo di dire che significa il volere la botte piena e l’uomo ubriaco. Non è uno che si accontenta Boris.
Tre anni dopo. Tre lunghissimi anni dopo aver scritto a David Cameron, prima del lancio dell’inizio della campagna referendaria , che avrebbe parteggiato per il Remain.
Indeciso sino all’ultimo aveva preparato tre lettere, due per il Leave e una per il Remain, scelse la prima opzione. Si era però preparato per entrambi i forni. Lo aveva già fatto da ragazzo, quando disse di essere sostenitore del Social Democratic Party, in voga al tempo, solo per essere eletto presidente dell’Oxford Union, prestigiosa associazione dell’antica università.
Tre anni dopo che Michael Gove lo tradì, l’amico scozzese forse convinto dalla moglie Sara Vine, a cui il biondo londinese è opinione diffusa non sia mai stato simpatico.
Tre anni dopo essere stato nominato Ministro degli Esteri dalla nuova inquilina di Downing Street, Theresa May, per il dopo David Cameron. Nomina avvenuta fra lo stupore di tutti. Disse un portavoce tedesco del Social Democratic Party: “E’ come mettere Dracula al Ministero della Sanità”.
Tre anni dopo avere fatto registrare svariate gaffe, tra le quali la celebre battuta sulle donne musulmane che indossano il velo, definite come “Letter Box”, cassette postali. “But that’s just Boris”.
Tre anni dopo, adesso ha vinto lui. La bicicletta è tutta sua, lui che le bici le ama tanto e che la usa nella quotidianità per recarsi a Westminster, fra clacson e traffico londinese. Una volta gliela rubarono pure. Ma non stavolta, adesso è tutta sua.
E allora “buona strada” Alexander Boris de Pfeffel Johnson.
Ma è forte la tentazione dell’attesa. Chissà come sarà il governo di Boris Johnson, con la sua vecchia città di Bruxelles che lo accolse da bambino, che attende le sue mosse e risposte insieme ai suoi fans e i suoi oppositori. Boris è uno divisivo, non conosce la terra di mezzo, o lo ami o lo odi.
Forse sarà più bilanciato, attento, istituzionale. O forse no. Ma se farà la “cassanata”, allora fermi tutti: “But that’s just Boris”.
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