Boicottare la Turchia al supermercato: la bufala del codice a barre
Al grido di “boicotta la guerra, boicotta la Turchia” il popolo di Facebook ha deciso di manifestare la propria indignazione per l’offensiva della Turchia contro i curdi smettendo di acquistare i prodotti provenienti dal paese di Recep Tayyip Erodogan. L’idea è quella di boicottare la Turchia cominciando direttamente dalla spesa al supermercato.
E come riconoscerli? La Rete Kurdistan Italia ha dato una risposta precisa: “Non comprate prodotti con il codice a barre 869”. Ma, anche se come sempre accade ogni bufala ha un fondo di verità, in questo caso è proprio di una sorta di bufala che stiamo parlando. Una fake news che, tra l’altro, arriva dal 2016 e ha ripreso a circolare incontrollata sul web da quando il governo di Ankara ha deciso di invadere la Siria.
In ogni caso, boicottare la Turchia e i suoi prodotti non è così facile come si può pensare scorrendo le bacheche di Facebook o le chat di WhatsApp. E non è detto nemmeno che sia l’idea giusta, perché rischia di colpire chi davvero non c’entra nulla con la guerra e, anzi, già ne paga il conto più di altri.
Perché non si può boicottare la Turchia partendo dal codice a barre dei prodotti
L’immagine che sta rimbalzando sui social è quella pubblicata dalla Rete Kurdistan Italia sul suo sito internet nel 2016 e mostra un codice a barre insanguinato. In evidenza, con lo stesso rosso del sangue, ci sono le prime tre cifre del numero EAN (European Article Number), cioè 869: ovvero la sequenza di cifre che corrisponde alla Turchia.
La sequenza numerica che si trova sotto i codici a barre è standardizzata e serve per tracciare le merci: le prime tre cifre sono associate al Paese di provenienza, le successive quattro cifre all’indirizzo del fornitore, poi ce ne sono cinque che descrivono il contenuto e infine un numero di controllo.
Ad ogni paese, quindi, corrispondono tre cifre e 869 sono davvero identificative della Turchia. Ma non basta. Il codice, infatti, può corrispondere al Paese in cui è stato concluso il processo di lavorazione, ma con materie prime importate da uno Stato diverso.
Inoltre, è possibile che un codice corrispondente a un determinato Paese sia apposto su prodotti prodotti altrove. Il codice Ean, infatti, corrisponde al Paese di registrazione del marchio e non dà alcuna informazione sulla produzione dell’articolo.
No al turismo in Turchia
Un’altra forma di boicottaggio riguarda il turismo in Turchia. Sempre sul sito della Rete Kurdistan Italia, nello stesso pezzo del 2016, si legge una frase che ha cominciato a circolare sui social network, Facebook e Twitter in primis, contro il turismo nella regione dell’Anatolia.
“Mentre immagini idilliache di sole, mare e spiagge delle regioni costiere occidentali della Turchia vendono l’idea di un paradiso del villeggiante, nelle regioni curde la storia è completamente diversa”, è l’incipit. “Qui, le entrate generate da turisti stranieri e dai sostegni economici dell’Europa non vengono utilizzate per incrementare l’economia locale, ma stanno cadendo su cittadini curdi in forma di fuoco di cecchini, missili di F16 e gas lacrimogeni”, prosegue il post del 2016.
Ma il meccanismo con cui si generano le fake news è noto: qualcuno condivide un post senza controllarlo né verificarlo, magari anche di qualche anno prima. Gli utenti cominciano a condividerlo nello stesso modo indiscriminato fino a farlo diventare virale. E il gioco è fatto. La disinformazione è compiuta.
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