La Corte costituzionale spagnola ha sospeso la legge sul referendum per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, che avrebbe dovuto tenersi il 1 ottobre in tutta la comunità autonoma.
Il primo ministro Mariano Rajoy aveva fatto appello alla Corte perché dichiarasse illegale il referendum, secondo la costituzione del paese infatti la Spagna è indivisibile.
“Questo referendum non si terrà” aveva detto il primo ministro. Il procuratore generale della Spagna ha invece affermato di essere intenzionato a denunciare i membri del parlamento catalano che non vogliano rispettare la decisione della Corte.
I legislatori catalani hanno risposto di essere pronti ad andare in prigione pur di permettere ai cittadini della Generalitat di esprimersi sull’indipendenza.
Il procuratore Jose Manuel Maza ha infatti detto ai giornalisti di aver chiesto alle forze di polizia di indagare su qualsiasi preparativo da parte del governo catalano in previsione del referendum.
Tra le attività sotto indagine figurano la stampa di volantini elettorali o la preparazione di sondaggi in merito alla consultazione.
Insegnanti, funzionari di polizia e amministratori locali sono quelli che rischiano multe o addirittura la perdita del posto di lavoro, se dovessero rendersi complici delle operazioni elettorali.
Il 7 settembre, il parlamento della Catalogna aveva votato a favore della legge regionale che permette di convocare il referendum sull’indipendenza.
A sostenere la decisione era stata la maggioranza di governo di Barcellona, guidata da Carles Puigdemont e composta anche da altri due movimenti: Uniti per il sì (Juntes pel sì) e il Cup (Candidatura d’unitat popular), un partito di sinistra e favorevole alla separazione da Madrid.
L’opposizione aveva invece protestato lasciando l’aula, mentre i rappresentanti di Podemos – che nel parlamento catalano si chiama Podem Catalunya – avevano scelto l’astensione.
La Catalogna è una regione autonoma nel quadro costituzionale spagnolo. Barcellona è anche una delle aree più ricche del paese, il Pil pro capite della Catalogna è infatti al di sopra della media spagnola, superandola di quasi il 20 per cento.
La Generalitat contribuisce in modo determinante all’economia nazionale, eppure, a causa dei trasferimenti interni verso il governo nazionale, Barcellona non riesce a spendere quanto potrebbe per i servizi ai propri cittadini.
Secondo i partiti indipendentisti infatti, se la Catalogna potesse gestire autonomamente tutte le tasse pagate dai contribuenti, il debito pubblico sarebbe inferiore e si potrebbe investire sui servizi ed evitare tagli di spesa.
La crisi non ha fatto altro che esasperare un sentimento secolare diffuso tra la borghesia e le classi popolari catalane, che è quello di dare “di più di quel che si riceve” alla Spagna, uno Stato storicamente percepito come ostile e straniero. Per questo, con la crisi il voto indipendentista, tradizionalmente stabile e intorno al 15-20 per cento, ha raggiunto praticamente il 50 per cento della popolazione.
Da Madrid i lavori del Parlament di Barcellona sono visti con ostilità. Il governo di Rajoy e la Corte costituzionale hanno respinto come illegittime diverse misure approvate dalla Catalogna: non solo il documento che sancisce l’iter per l’indipendenza, ma anche la legge contro gli sfratti o le corride dei tori.
Il 14 dicembre 2016 la Corte costituzionale spagnola aveva infatti bloccato i piani per il referendum secessionista.
Il governo della Generalitat non ha però intenzione di desistere e intende continuare la propria battaglia per l’indipendenza da Madrid.
“Vuoi che la Catalogna sia uno stato indipendente, nella forma di una repubblica?”, doveva essere la domanda presente sulla scheda che sarebbe stata consegnata ai cittadini catalani se la Corte costituzionale di Madrid non avesse bloccato il referendum.