Gli Stati Uniti non offriranno più supporto militare alle unità birmane coinvolte nelle violenze nei confronti della minoranza musulmana dei rohingya, che hanno causato un’imponente crisi umanitaria nel sud-est asiatico.
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“I recenti avvenimenti nello stato di Rakhine e gli abusi nei confronti della comunità rohingya sono per noi fonte di grande preoccupazione”, ha detto Heather Nauert, portavoce del dipartimento di Stato, annunciando l’introduzione delle nuove misure punitive.
“Il governo e le forze armate devono prendere decisioni immediate per garantire pace e sicurezza; aumentare gli sforzi per consentire accesso umanitario alle comunità più bisognose; facilitare il ritorno in condizioni sicure di coloro che hanno dovuto abbandonare lo stato di Rakhine e approfondire le origini di questa discriminazione sistematica nei confronti dei rohingya”, ha aggiunto Nauert.
La settimana scorsa, il segretario di Stato Rex Tillerson aveva affermato che gli Stati Uniti ritengono i vertici militari birmani i veri responsabili per la crisi dei rifugiati rohingya, escludendo così un ruolo di Aung San Suu Kyi, consigliere di Stato e premio Nobel per la pace nel 1991.
Tillerson ha avvertito che il mondo “non resterà a guardare di fronte alle atrocità commesse” e ha fatto riferimento alla necessità di disciplinare il corpo militare birmano e “frenare” ulteriori azioni di questo tipo.
Il ritiro di aiuti militari alla Birmania si aggiunge ad altre restrizioni già imposte da Washington, tra le quali un embargo sulla vendita di armi.
Inoltre, il dipartimento di Stato ha annunciato di aver introdotto un blocco dei visti per i leader militari birmani e di aver cominciato a valutare misure economiche contro i diretti responsabili delle violenze.
Sono già più di 600mila gli appartenenti alla minoranza etnica che sono fuggiti in Bangladesh dall’intensificarsi della crisi cominciata a fine agosto.
Gli attacchi perpetrati da un gruppo di militanti rohingya contro le forze di sicurezza birmane ha scatenato una durissima reazione nei confronti di tutta la comunità, che le Nazioni Uniti hanno paragonato a una vera e propria pulizia etnica.