Negli ultimi due mesi, l’esercito birmano ha perpetrato atti violenti e repressivi contro la minoranza musulmana dei rohingya, rischiando così di commettere dei veri e propri “crimini contro l’umanità”.
La denuncia è arrivata lunedì 19 dicembre da Amnesty International, che ha rivolto le sue pesanti accuse contro le forze dell’esercito birmano responsabile di uccisioni sistematiche, torture e stupri ai danni di civili nello stato di Rakhine, dove attualmente vivono circa un milione di rohingya.
L’esercito birmano ha negato ogni accusa difendendo il suo operato un’offensiva anti-terrorismo condotta nello stato più povero della regione. Tuttavia, il rapporto diffuso dall’organizzazione non governativa che ha intervistato 35 vittime e almeno una ventina di persone coinvolte in sforzi umanitari, parla chiaro: la situazione in Birmania viene descritta come una “catastrofe umanitaria”, con omicidi casuali, arresti e detenzioni arbitrarie. Ma anche stupri, torture, saccheggi alle proprietà e l’incendio di interi villaggi.
Secondo Amnesty International, sono almeno 1200 le case e altri edifici (scuole e moschee) date alle fiamme negli ultimi mesi. L’organizzazione ha poi descritto le azioni compiute dall’esercito birmano come “parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione rohingya che abita nella zona settentrionale della regione”.
L’organizzazione ha denunciato anche una forte limitazione di accesso nella zona interessata dalle continue azioni repressive da parte dei militari birmani, e non è riuscita a stimare con esattezza quanti civili siano morti nel recente conflitto.
Nessuno sembra essere immune da queste azioni violente, anche i bambini di età compresa fra i tredici e diciotto anni, spesso accusati di essere terroristi che devono essere pertanto eliminati.
Amnesty International ha poi stimato che dal mese di ottobre a oggi si è registrato un flusso costante di profughi rohingya: sono almeno 27mila quelli fuggiti nel vicino Bangladesh negli ultimi due mesi. Ciò ha messo a dura prova le comunità già povere situate lungo il confine.
Inoltre, l’organizzazione non governativa ha fatto appello al governo birmano e al suo ministro degli Esteri, Aung San Suu Kyi, affinché fermino le atrocità e condannino pubblicamente le violazioni dei diritti umani, permettendo così l’accesso senza ostacoli all’interno dello stato di Rakhine e favorendo l’avvio di un’indagine imparziale sostenuta in collaborazione con le Nazioni Unite.
Dal canto suo, il governo birmano ha fatto sapere di aver istituito una sua squadra investigativa, guidata dall’ex vice presidente Myint Swe e di aver creato una commissione consultiva sulla questione presieduta dall’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, affinché cerchi delle soluzioni a lungo termine per risolvere la crisi.
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Il rapporto stilato da Amnesty International è stato diffuso in concomitanza con un vertice dell’organizzazione regionale Asean – Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico – in programma nella città di Rangoon dove si è discusso ampiamente del problema.
In particolare, il governo malese direttamente coinvolto nella questione a causa del costante flusso di migranti rohingya, ha invitato anche gli esponenti degli altri paesi a far sì che questa crisi sia affrontata a livello regionale, attraverso un coordinamento degli aiuti umanitari e mediante una serie di indagini indispensabili per fare luce sulle continue violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito birmano.
Ancor prima che il rapporto di Amnesty International fosse pubblicato, già nel mese di novembre un funzionario delle Nazioni Unite aveva denunciato come in Birmania fosse in corso una “pulizia etnica contro i rohingya”, mentre Human Rights Watch aveva pubblicato le immagini satellitari dei villaggi devastati e rasi al suolo.
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