Quel bambino senza nome che sognava la vita in un carrello di un aereo
Sei ore di volo possono cambiare la vita per sempre. Solo sei ore di volo separavano i sogni di un bambino ivoriano di 10 anni dalla terra promessa, l'Europa. Il commento di Lara Tomasetta
Quel bimbo senza nome che sognava la vita in un carrello di un aereo
Ho controllato: un aereo di linea che parte da Abidijan in Costa D’Avorio impiega poco più di sei ore per arrivare in Francia, a Parigi. Sei ore e 15 minuti, 25 nella peggiore delle ipotesi.
Sei ore non sono tante e eppure possono cambiare una vita. Possono cambiarla per sempre.
Tanto separava i sogni di un bambino ivoriano di 14 anni dalla terra promessa, l’Europa. Quel “clandestino” imbucato su un aereo della Air France voleva raggiungere un altro mondo. Chissà se sapeva che avrebbe dovuto resistere 6 ore per cercare altri sogni.
Chissà quanto gli batteva forte il cuore quando era riuscito ad aggrapparsi al carrello dell’aereo nel quale poi lo hanno trovato. Morto.
Alle 6 e 40 di un freddo mercoledì di gennaio, di un 2020 ancora da immaginare, gli operatori dell’aeroporto Charles de Gaulle trovano nel carrello di un Boeing 777 dell’Air France appena atterrato da Abidjan, Costa d’Avorio, il cadavere di un bimbo.
Un bimbo “di una dozzina d’anni”, scrivono proprio così dalla compagnia aerea. Un bimbo nero, un “clandestino”.
Chissà come ci era finito lì, nella radura che circonda le piste degli aerei in Costa D’Avorio, terre di nessuno. Chissà se a spingerlo fosse la curiosità, dei genitori disperati, o un bisogno di vita altra. E chissà la sua mamma e il suo papà dove erano, se poco distanti o lontani.
Chissà quale era il suo nome, quale vita avrebbe potuto vivere, quali progetti realizzare. Chissà se aveva dei fratelli, chissà se sapeva cosa fosse e dove fosse l’Europa. Se a Parigi lo aspettava qualcuno, oltre la sua immaginazione.
Il piccolo morto di Roissy non aveva documenti, e non è stato identificato. Nemmeno sui siti dei media ivoriani ci si chiede come si chiamasse, o da dove venisse, quel piccolo grande bambino. Forse già uomo. Costretto a crescere troppo presto.
Eppure, il piccolo autore di quel gesto folle e disperato doveva avere tanto coraggio, non sapendo che a 7mila metri di quota ci sono 50 gradi sottozero, e non si respira.
Non sapendo che raggiungendo quota la temperatura scende sempre di più e il corpo combatte delle condizioni innaturali. Sfida ictus e arresto cardiaco. Quanto gli sarà balzato in petto quel piccolo cuore al rombo dei motori.
Per un attimo sarà stato persino felice. Chissà.
Negli ultimi anni, tanti ivoriani, anche adolescenti, hanno provato a fuggire nello stesso modo dal Paese. I cittadini che hanno abbandonato la Costa d’Avorio provengono principalmente dall’area occidentale del paese. Molti fuggono nel timore di essere perseguiti dalle autorità per aver sostenuto Ouattara, mentre altri avrebbero deciso di lasciare il paese nel timore dello scoppio di nuove violenze, che potrebbero riaccendere la guerra civile.
Un aereo di linea che parte da Abidijan impiega poco più di sei ore per arrivare a Parigi. A comprarlo, un biglietto, costa più di 600 euro. Un patrimonio e un destino cucito addosso.
Questo bambino di 14 anni non avrà forse un nome o un volto da ricordare, come lui quel ragazzino di 14 anni del Mali, annegato il 18 aprile del 2015 nel Mar Mediterraneo insieme ad altre 1.100 persone, nel più importante naufragio dalla Seconda Guerra Mondiale.
Quel ragazzo, appena adolescente, aveva cucito nella tasca dei pantaloni la pagella scolastica, il “documento” che – secondo sua madre – più di tutti avrebbe rappresentato un lasciapassare in Europa.
Entrambi sognavano l’Europa, forse la libertà. Forse solo una nuova terra dove vivere, poco importa che si chiamasse Europa, America o Australia.
Per loro non ci sono nomi, non ci sono parole adatte e giuste. Tutto ciò che diremo, da questa parte di terra, suonerà pietoso e banale. E metterà a tacere solo per un po’ quelle voci che sentiremo ogni volta che da oggi guarderemo il carrello di un aereo.
A tacere. Solo per un po’.