In un’intervista rilasciata al Financial Times, la commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager ha parlato di una “nuova fase” che si è aperta nella regolamentazione delle Big Tech da parte delle autorità Antitrust europee e statunitensi. Verstager ha fatto riferimento a una sempre maggiore integrazione nelle attività regolatorie sulle due sponde dell’Atlantico. Questo cambio di paradigma implica, nella sostanza, una crescente attenzione alle fusioni tra le compagnie e alle acquisizioni, da parte dei giganti del settore, di aziende medio-piccole, al fine di evitare la formazione di monopoli nel mercato digitale.
Come ha specificato la stessa commissaria Ue alla Concorrenza, la sinergia tra Unione Europea e Stati Uniti si è rafforzata in seguito alla nomina di Lina Khan a capo della Federal Trade Commission americana. Khan, infatti, già prima della nomina alla FTC era nota per le sue posizioni volte a imporre un maggiore controllo sulla formazione dei monopoli digitali, anche a costo di scorporare alcuni grandi compagnie e costringerle a cedere altre aziende precedentemente acquisite. In particolare, già nel 2016 Lina Khan aveva scritto un saggio dal titolo «Amazon’s Antitrust Paradox», che aveva innescato un dibattito sulle modalità con cui aggiornare le normative antitrust, adattandole all’economia digitale.
Nel saggio, Khan sosteneva che alcune piattaforme come Amazon si trovino in conflitto di interessi: da una parte, infatti, controllano gli algoritmi e le infrastrutture che determinano l’offerta di prodotti sui mercati digitali, dall’altra vendono loro stesse i propri prodotti sulle piattaforme che controllano. Per dirla con le parole della senatrice democratica Elizabeth Warren, “non puoi essere allo stesso tempo l’arbitro e avere una squadra che gioca”.
La “dottrina Khan” è estremamente attuale, se si pensa ad esempio alla sanzione da oltre un miliardo di euro da poco inflitta ad Amazon da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). La sentenza dell’Antitrust italiana stabilisce infatti che Amazon penalizza alcuni rivenditori indipendenti che non utilizzano il suo servizio di logistica. Per questo motivo, la merce di questi rivenditori risulterebbe meno visibile sulla piattaforma, con conseguenti e rilevanti danni in termini di vendite (come testimoniato al settimanale The Post Internazionale – TPI proprio da un rivenditore indipendente).
Le tesi di Lina Khan, insomma, stanno trovando applicazione nelle sentenze delle autorità Antitrust, e la svolta impressa dalla sua nomina a capo della Federal Trade Commission è percepibile sia in Europa sia negli Stati Uniti, come evidenziato da Margrethe Vestager. Il caso italiano, infatti, è tutt’altro che isolato.
Proprio la Federal Trade Commission sta facendo sentire il fiato sul collo a Meta: recentemente è stata aperta un’indagine antitrust per l’acquisizione, da parte della società di Mark Zuckerberg, dell’app di fitness per la realtà virtuale Supernatural. Si tratta di una delle acquisizioni pianificate da Meta per orientarsi sempre di più in direzione del metaverso. Ma l’apertura dell’inchiesta della FTC, di fatto, rallenterà l’operazione almeno per un anno.
La società di Zuckerberg, di recente, è finita nel mirino anche della Competition and Markets Authority (CMA), ovvero l’Antitrust del Regno Unito, che ha bloccato l’acquisizione di Giphy, piattaforma per la condivisione di gif. L’argomentazione della CMA sul punto è stata molto chiara: attraverso questa operazione, Meta avrebbe arrecato un grave danno alla concorrenza tra le piattaforme social, poiché avrebbe di fatto limitato fortemente la possibilità, per le altre compagnie, di servirsi delle gif di Giphy. Ciò avrebbe orientato ulteriormente il traffico social verso Facebook e Instagram, a scapito dei competitor.
E ancora, sempre la Federal Trade Commission punta a bloccare l’acquisizione, da parte della compagnia Nvidia, di Arm, società che tra le altre cose produce tecnologie per chip. L’argomentazione è sempre la stessa: con questa fusione, Nvidia assumerebbe una posizione dominante nel mercato delle tecnologie per la produzione di chip, minando di fatto la concorrenza.
Il cambio di passo delle autorità regolatorie e delle istituzioni europee è testimoniato anche dal Digital Markets Act (DMA) e dal Digital Services Act (DSA), le due leggi attraverso cui si vuole provare a frenare la formazione di posizioni monopolistiche agendo ex ante: non bastano infatti le sanzioni delle autorità Antitrust, ma serve un perimetro di regole definite che salvaguardi la concorrenza sui mercati digitali e impedisca operazioni in grado di minarla.
Come riportato dal Financial Times, la strategia portata avanti da Ue e Stati Uniti sta innervosendo non poco le Big Tech, e non solo loro. Sean Heather, vicepresidente della seziona Antitrust della Us Chamber of Commerce, ha criticato questo blocco delle acquisizioni affermando al quotidiano britannico: “I regolatori antitrust dovrebbero tenersi lontani da accordi che non ricadono sotto la loro giurisdizione. Le strategie di ‘divide et impera’ tra le autorità antitrust per bloccare le fusioni equivale a un comportamento di cartello”. L’accusa, insomma, è quella di comportarsi da monopolisti in ambito legislativo, analogamente alle grandi compagnie di cui si vorrebbe limitare lo strapotere.
Ci si prepara quindi a una lunga e faticosa “guerra di posizione” tra i colossi del web e le istituzioni Usa e Ue. Ma, con ogni evidenza, si tratta di una fase decisiva. Anni di deregolamentazione del mercato digitale hanno infatti prodotto blocchi di potere che mettono a rischio non solo i mercati, ma il funzionamento stesso dei sistemi politici e democratici, come hanno ampiamente dimostrato i tanti scandali su manipolazioni di elezioni, disinformazione, incitamento (tramite i meccanismi di diffusione di contenuti sulle piattaforme) di odio etnico e religioso (si pensi al caso di Facebook e dei Rohingya). Arretrare di fronte alle pressioni delle Big Tech, stavolta, potrebbe rivelarsi un peccato fatale.
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