La situazione in Bielorussia va verso lo stallo, Lukashenko non arretra di un passo e il coordinamento delle opposizioni senza dialogo con le autorità non decolla, gli scioperi ingolfano il Paese ma col tempo iniziano a perdere la spinta iniziale.
La leader dell’opposizione, Svetlana Tikahnovskaya, rimane in Lituania da dove continua a lanciare i suoi video-appelli. Da Mosca Vladimir Putin fa sapere che qualsiasi ingerenza internazionale non verrà tollerata dai russi e manda chiari messaggi all’Unione europea intimando di stare alla larga.
Serve un mediatore internazionale o almeno qualcuno che provi a favorire un dialogo tra autorità e opposizioni nella speranza di favorire la de-escalation e evitare che la situazione peggiori. E così si fa avanti l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) con una lettera controfirmata da Edi Rama, premier albanese, e Ann Linde, ministro degli Esteri svedese, rispettivamente attuale e prossimo presidente, che offrono la loro visita Minsk per provare a mettere i primi mattoni per un possibile dialogo. L’iniziativa lentamente prende piede e infatti, pochi giorni dopo, la stessa presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen rilancia in conferenza stampa dopo l’eurogruppo il ruolo dell’OSCE come possibile mediatore in Bielorussia.
L’OSCE, però, esce da un’estate complicata. A luglio infatti il mancato accordo sul rinnovo del segretario generale ha lasciato l’organizzazione acefala. L’organizzazione si basa sul principio del general consensus, che di fatto garantisce a ogni Stato il diritto di veto. Ma proprio questa caratteristica che rende ogni decisione, anche la più piccola, complessa e laboriosa potrebbe in realtà essere ancora una volta la qualità che rende l’OSCE l’organizzazione più adatta a provare a sbrogliare la matassa dello stallo bielorusso.
L’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa è attualmente guidata dall’Albania, la cui chairmanship è cominciata a gennaio 2020. Igli Hasani, ambasciatore della Repubblica di Albania a Vienna e attuale chairman del consiglio permanente dell’OSCE, spiega a TPI perché l’organizzazione, già presente in diverse zone di conflitto in est Europa e Asia centrale, è lo strumento adatto per favorire la de-escalation in Bielorussia.
Il mancato rinnovo del segretario generale lascia l’organizzazione con un vuoto significativo in un momento cruciale, che effetti ci sono?
Il fatto che non sia stato possibile rinnovare consensualmente le cariche più importanti dell’OSCE è forse un segno di più ampie difficoltà che la diplomazia multilaterale sta sperimentando negli ultimi anni. Tuttavia è proprio il compito della presidenza, quest’anno nelle mani dall’Albania, assicurare la guida politica dell’OSCE, specie in questi frangenti difficili.
In breve, quali sono le qualità uniche dell’OSCE che la rendono indicata ad assumere il ruolo di promotore del dialogo in Bielorussia?
La prevenzione e la risoluzione dei conflitti è la ragion d’essere dell’OSCE. Qui la regola del consenso – che rende difficile da un lato l’adozione di decisioni – si dimostra un punto di forza: potendo in ogni momento intervenire con diritto di veto, alcuni governi hanno maggior fiducia nell’intraprendere mediazioni o processi di riconciliazione nazionale facilitati dall’OSCE, rispetto ad altre organizzazioni. L’OSCE dispone inoltre di grande expertise in tema di mediazioni e grande flessibilità negli strumenti che può mettere in campo, dall’invio di rappresentanti speciali, fino al lancio – anche in tempi brevissimi – di missioni sul campo.
Al momento in Bielorussia non si parla di conflitto e non ci sono ancora parti in causa ben definite, quali sono generalmente i sistemi usati per promuovere dialogo in situazioni analoghe?
Il primo passo deve essere lo stabilire un contatto con il governo e con le parti. Poi, individuare tutti gli attori di un processo di riconciliazione è fondamentale per evitare di lanciare un processo che escluda una parte in causa: spesso il successo è determinato dalla giusta inclusività di una mediazione, che la legittimi. I partner internazionali possono facilitare tali processi, spesso individuando una figura di diplomatico esperto per accompagnare il dialogo. L’OSCE ha la struttura e l’esperienza per questo. Tutto questo sotto l’assunzione dello stop immediato degli abusi dei diritti umani e del rilascio dei detenuti politici. È importante evitare la tentazione di importare modelli preconfezionati: ogni Paese deve trovare la propria strada autonomamente, e deve essere il popolo bielorusso a determinare il proprio futuro. I partner internazionali, quali l’OSCE, possono facilitare e accompagnare un cammino di riconciliazione nazionale, e incoraggiare al rispetto degli obblighi assunti – specie in materia di diritti fondamentali.
Gli albanesi sanno bene cosa sia l’incertezza creata dalla fine di un ciclo ma anche quanto sia importante l’orgoglio di una nazione che non vuole sentirsi commissariata. Gli svedesi invece sono storicamente all’avanguardia nel rispetto dei diritti umani e della libertà d’espressione. La diversità di questo tandem è una forza?
In Albania abbiamo beneficiato della facilitazione dell’OSCE per accompagnare processi di riforma e dialogo politico: sappiamo quindi bene come possa essere prezioso l’aiuto della comunità internazionale in momenti politicamente delicati. Il tandem con la Svezia è particolarmente fortunato, ed è la nostra speranza che l’esperienza della diplomazia albanese e svedese possano essere complementari.
Edi Rama e Ann Linde hanno mandato una lettera congiunta a Minsk per chiedere di poter avere delle consultazioni, quali sono i prossimi passi di questo processo?
La nostra speranza, alla quale stiamo lavorando intensamente, è che la nostra offerta sincera di un aiuto verso un dialogo nazionale possa essere accolta. Il primo passo sarebbe idealmente una visita congiunta dei ministri a Minsk, che ovviamente va preparata con attenzione
Video: cos’è l’OSCE e come funziona
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