Nel giorno in cui in Bielorussia si cercano, invano, notizie sulla scomparsa di Maria Kolesnikova, attivista rapita nel tardo pomeriggio di ieri, giungono alla cronaca ulteriori inquietanti notizie, come il licenziamento di numerosi giornalisti filo-democratici che avrebbero perso il lavoro per aver partecipato alle proteste contro Lukashenko. TPI ha intervistato in esclusiva Peter Polevikov, 29 anni, dipendente di una TV statale bielorussa, licenziato per aver sostenuto la causa pro-democrazia. Peter è sollevato dal poter parlare con i media occidentali. Non capita spesso, e dice che questo lo fa sentire meno solo.
Peter, cos’è successo di preciso?
Lavoravo in uno dei principali canali della TV statale bielorussa come tecnico del suono. Dopo le elezioni mi sono reso conto che nel mio Paese si stava consumando una vera e propria carneficina, con la polizia che torturava i manifestanti. Ho saputo di violenze sessuali ai danni di uomini e donne, di detenuti in celle minuscole, ammassati. E ho deciso che non potevo far parte di questo sistema, nemmeno come lavoratore.
Quali sono state le tue scelte, da questa presa di coscienza in poi?
Io e altri collaboratori abbiamo indetto uno sciopero. Hanno partecipato in trenta su duecento dipendenti ma abbiamo avuto un forte sostegno da parte dei cittadini. Durante questo episodio il mio capo è venuto da me e mi ha detto che avevo due opzioni: tornare a lavoro e cancellare uno sciopero che era stato ritenuto illegale, oppure essere licenziato. Ho scelto di andarmene.
Cos’è successo agli altri lavoratori che avevano scioperato?
Sono andati via tutti. E dopo poco la nostra TV ha iniziato a collaborare in modo molto forte con Russia Today, e con giornalisti o collaboratori russi. Lo hanno fatto tutte le tv e i media pubblici bielorussi.
Ora cosa fai, e come ti mantieni?
Ora sto studiando, e mi sta sostenendo una fondazione, ByChange, oltre che altre realtà come Bysol-Belarus Solidarity Foundation e Honest People che mi aiutano in diversi modi.
Quante persone vivono la tua stessa condizione?
Posso dire che la maggior parte delle persone in Bielorussia oggi vivono condizioni di sofferenza di diverso tipo: al lavoro, per strada, ovunque. Improvvisamente la dimensione politico-sociale si è trasformata in una guerra contro il male. E non sto esagerando.
Possiamo dire che le donazioni dell’Unione Europea e quelle raccolte spontaneamente sui social network possono fare la differenza?
Sì, è così. E anche grazie a persone comuni che in Bielorussia si aiutano a vicenda.
Se potessi, andresti via dal tuo Paese?
Ho deciso che lascerò la Bielorussia solo se mi troverò in pericolo di vita. Fino ad allora resterò qui.
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