Outsider, terzo uomo, candidato minoritario. Sono solo alcuni degli aggettivi utilizzati dalla stampa francese e internazionale per descrivere il profilo di Benoit Hamon, da domenica 29 gennaio candidato del Partito socialista (Ps) alle prossime elezioni presidenziali.
Eppure la vittoria di Hamon è frutto di un lavoro paziente all’interno dell’apparato del partito, di una serie di scelte giuste e della coerenza nelle posizioni e nei rapporti politici e umani che il deputato di Yvelines – un dipartimento della regione Ile de France – ha coltivato in quasi venticinque anni di attività politica.
Il re delle azioni dimostrative
Hamon nasce nel 1967 in Bretagna, da una famiglia di origini modeste, come spesso sottolinea. Si impegna subito in politica, diventando uno dei giovani che gravitano intorno a Michel Rocard, uomo di punta della sinistra post Mitterrand, insieme a Jean-Christophe Cambadelis, oggi segretario del Ps, e Manuel Valls, primo ministro sotto Hollande e suo principale avversario alle ultime primarie.
Rocard conquista il Partito socialista nel 1993, con l’obiettivo delle presidenziali del 1995. Così chiede ai suoi di potenziare i forum, i comitati elettorali alla base del suo successo interno al partito, come struttura per lanciare la sua candidatura all’Eliseo.
Dei jeunes rocardiens – i giovani sostenitori di Rocard – Benoit Hamon rappresenta l’ala sinistra, la più radicale, tanto da meritarsi l’appellativo di frondeur, il frondista, che lo ha accompagnato per quasi tutta la sua carriera politica.
Non è d’accordo con le modalità di azione dei forum, giudicati troppo leggeri e poco attenti alla base storica del partito. Così ottiene da Manuel Valls, nominato responsabile comunicazione del Ps, la possibilità di strutturare un movimento giovanile vicino al partito socialista ma autonomo, con i suoi tesserati, i suoi congressi e una sua segreteria.
Si rivelerà essere una mossa lungimirante. Eletto presidente dei giovani socialisti a fine 1993, quando Rocard perde malamente le elezioni europee del 1994 è l’unico rocardien ad avere uno spazio politico indipendente e definito, mentre Valls, Cambadelis e altri devono ricostruire da zero la loro carriera politica. La capacità di contare su un forte radicamento territoriale sarà una delle chiavi della carriera di Hamon, e forse il suo principale vantaggio durante le primarie vinte il 29 gennaio.
Il segretario dei giovani socialisti si dedica anima e corpo alla sua formazione politica. Dal nulla crea un apparato militante che passa da 500 a 3mila iscritti in un solo anno, e diventa il re delle azioni dimostrative, quando nel 1994 porta centinaia di giovani in pigiama sotto la residenza del primo ministro Eduard Balladur, che aveva accusato la gioventù francese di pigrizia, di essere l’emblema della “Francia in pigiama”, appunto.
“Lavorare meno, lavorare tutti”
Con la vittoria alle elezioni legislative del 1997 i socialisti tornano al governo. È un esecutivo di coabitazione: insieme al presidente della Repubblica Jacques Chirac, gollista, a Matignon, sede del Primo Ministro, si insedia Lionel Jospin, erede di Mitterrand e portatore della famosa sintesi tra le due anime del partito socialista.
Nel governo socialista è nominata Martine Aubry, cui tocca il ministero del Lavoro. Aubry apprezza le capacità di Hamon, segretario della gioventù socialista, e lo nomina suo consigliere politico. È in questi anni che matura l’idea di Hamon sulla rarefazione del mercato del lavoro, la convinzione che il nuovo principio per le politiche occupazionali dev’essere “lavorare meno, lavorare tutti”.
Dopo aver provato a portare avanti, ma senza successo, la proposta di “allocazione di autonomia” – un assegno di 800 euro mensili che raggruppasse tutti i sussidi statali già esistenti – il ministero di Aubry presenta una legge che modifica radicalmente il mercato del lavoro francese, introducendo la riduzione delle ore lavorative a 35.
La misura, odiata dalla destra che tuttavia non è mai riuscita ad abrogarla, diminuisce effettivamente la disoccupazione. Accanto all’impegno nel governo, Hamon struttura la sua idea di partito utilizzando il movimento giovanile come avanguardia. Lo slogan è semplice: “rimanere amici dei ragazzi di strada”, citando un famoso verso del poeta russo Majakovskij. “Sembriamo un partito di governo anche quando siamo all’opposizione, mentre dovremmo sempre essere al fianco di chi protesta”, chiarisce Hamon a Mediapart nel 2008.
Dopo il disastro alle presidenziali del 2002, che vede i socialisti eliminati al primo turno e Jean Marie Le Pen al ballottaggio, Hamon continua la sua carriera da funzionario di partito, ma vive anni difficili. Si dimette dalla segreteria nel 2007 in contrasto con la decisione di votare a favore del trattato di Lisbona; nel 2008 partecipa al congresso di Reims per la segreteria del partito arrivando terzo; nel 2009 non riesce ad essere rieletto alle elezioni europee.
Senza più cariche elettive o nel partito, cerca lavoro. Ottiene quindi un insegnamento all’università Paris 8 e collabora con un istituto di sondaggi, Le Fil.
Le presidenziali del 2012 e l’esperienza nel governo Ayrault
La sua carriera politica subisce un’improvvisa accelerazione alle presidenziali del 2012, quando, nonostante i freddi rapporti con Hollande e la maggioranza del partito socialista, riesce a far eleggere 22 deputati della sua corrente all’Assemblea nazionale.
Dopo la vittoria dei socialisti è chiamato a sorpresa nel primo governo Ayrault come ministro delegato – una sorta di sottosegretario – all’economia sociale e solidale. La sua nomina fa parte della più generale politica di Hollande di tenere insieme tutte le anime del partito socialista, ma l’esperimento funziona male.
Hamon è spesso in disaccordo con la linea del governo ma, almeno all’inizio, si concentra su due riforme per lui molto importanti. La prima legge prevede una serie di misure destinate a consolidare e favorire il finanziamento e lo sviluppo delle imprese che si occupano di economia sociale e solidale. La seconda riguarda una legge sui contratti dei consumatori per “riequilibrare i poteri tra consumatori e professionisti” incentivando la concorrenza.
Il “patto col diavolo”
Dall’autunno del 2013 Hamon si allea con Arnaud Montebourg e con Manuel Valls, il rivale dall’epoca di Michel Rocard. Come riporta Mediapart i tre tramano per mesi, riuscendo a sostituire il primo ministro Ayrault che si dimette per le pressioni interne, a seguito della sconfitta alle elezioni municipali del marzo 2014.
Valls trasloca a Matignon, diventando capo del governo; Montebourg a Bercy, all’economia; Hamon a Grenelle, all’educazione.
Valls è criticato dai suoi fedelissimi, ma Hamon professa realismo. “C’è sempre stato un vecchio riflesso tra noi”, afferma l’ex leader dei giovani socialisti. “Se mai dovessimo diventare la corrente maggioritaria saremmo morti. Ma abbiamo una linea e sappiamo dove andare, è questo ciò che conta”.
L’avventura comune dura poco. In sette mesi Hamon capisce che la promessa della presidenza Hollande verso politiche di inclusione sociale e mutamento dei rapporti di forza con l’Unione Europea non si realizzerà. Dopo un duro scontro sull’equilibrio di budget sia lui che Montebourg sono invitati a lasciare l’esecutivo.
Benoit Hamon si ritrova quindi all’Assemblea nazionale, dov’era stato eletto nel 2012 nel collegio di Yvelines ed era stato sostituito dal suo supplente a causa della nomina ministeriale. A Palais Bourbon diventa subito uno dei leader dei frondisti.
Complica le riforme del governo Valls: si astiene sul voto al budget del governo; cerca di modificare profondamente la legge sul mercato del lavoro, costringendo l’esecutivo a chiedere la fiducia; vota solo la prima volta la legge sullo stato d’emergenza, rinnovato poi quattro volte; e ingaggia una dura battaglia in parlamento e sulla stampa contro la proposta di déchéance de nationalité, la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo.
La corsa alle presidenziali 2017
Quando decide di candidarsi alle ultime primarie del Partito socialista, nell’agosto 2016, Hamon ha dalla sua parte la stima di tutto l’apparato. Il percorso nel partito lo avvantaggia notevolmente rispetto agli altri candidati: ne conosce bene le dinamiche. Ha un appoggio strutturato nella base – il Mjs, il movimento giovanile, si schiera subito e in massa per la sua proposta – ed è considerato da tutti come capace di trattare con Jean-Luc Melenchon e con la galassia dei movimenti e associazioni che sostiene la candidatura di quest’ultimo nella sinistra radicale.
La capacità di aggregazione di Hamon è una qualità universalmente riconosciuta ed è una delle principali ragioni del sostegno dei quadri socialisti. “Con Benoit non c’è mai una rottura violenta. Ci si allontana, poi ci si ritrova, e ci si rende conto che le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono”, ha detto David Lebon, consigliere di Martine Aubry prima e Arnaud Montebourg poi, spiegando così la sua decisione di votare per Hamon.
Hamon capisce che gli elettori socialisti vogliono un cambiamento netto rispetto agli ultimi cinque anni, ma non si riconoscono nella deriva personalistica incarnata dagli altri candidati di sinistra esterni al Partito socialista, come Macron e Melenchon. Ciò che chiedono è una nuova idea di società, “una sinistra moderna, innovatrice, volta verso il futuro, che pensi il mondo per com’è e non per com’è stato, che sia capace di fabbricare e portare avanti un futuro desiderabile”.
Fondamentale è in questo senso la sua proposta di reddito universale di esistenza, 750 euro al mese a tutti i cittadini, senza condizioni, per ridare il potere ai lavoratori nella contrattazione. “Devono poter scegliere il loro tempo di lavoro per essere più liberi”, afferma il candidato socialista alle prossime presidenziali.
Secondo Hamon l’economia digitale ridurrà inesorabilmente le possibilità di raggiungere il pieno impiego, e la crescita economica non potrà continuare a essere un parametro per giudicare lo stato di salute di un’economia.
Va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato.
Il programma di Hamon è sviluppato anche intorno ad altri due grandi temi: il primo riguarda la riforma dello Stato in senso più partecipativo. L’ex ministro dell’istruzione intende inaugurare una sesta repubblica, imponendo un limite al numero dei mandati e introducendo un numero minimo di deputati eletti con il proporzionale – mentre oggi si vota col sistema maggioritario di collegio.
La proposta più forte in tal senso è l’introduzione della “questione di fiducia cittadina” un dispositivo di democrazia diretta che consentirebbe all’1 per cento degli elettori di presentare al parlamento una proposta di legge popolare, o di sospendere l’applicazione di una legge già in vigore per sottoporla a referendum abrogativo.
Il secondo tema riguarda la transizione ecologica: Hamon si è dichiarato socialista-ecologista e propone l’abbandono del diesel entro il 2025, una riduzione dell’uso del nucleare a favore delle energie rinnovabili, e una drastica diminuzione dell’utilizzo dei pesticidi in agricoltura. Tutto ciò finanziato attraverso lo sviluppo di una “fiscalità ambientale” con aumenti dell’Iva.
È su queste basi che il 29 gennaio Hamon è stato designato candidato alla presidenza del Partito socialista. Una vittoria che non viene dal nulla, ma che corona “venticinque anni di paziente conquista”.
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*Francesco Maselli, doppia laurea in diritto italo-francese conseguita tra Parigi e Roma, spiega settimanalmente su TPI l’evolversi della corsa presidenziale francese che nel 2017 consegnerà l’Eliseo al successore di Francois Hollande.