Pubblichiamo la denuncia della scrittrice turca Asli Erdogan, in seguito ai fatti di Smirne dove, giovedì 21 maggio, alcune moschee hanno diffuso dagli altoparlanti dei minareti le note di “Bella Ciao”. Asli Erdoğan è tra le più importanti voci del panorama letterario turco. Editorialista e attivista per i diritti umani, è autrice di libri, romanzi, raccolte di racconti, prose poetiche e saggi tradotti in oltre 20 lingue – tra cui inglese, francese, tedesco e italiano. È stata scelta tra i “50 scrittori del futuro” dalla rivista francese Lire e ha ricevuto vari premi, tra cui l’European Cultural Foundation Award, il Simone de Beauvoir, l’Eric Maria Remarque e il Vaclav Havel. Ha un PhD onorario in Letteratura dall’Università Jules Verne e nel 2017 il Governo francese le ha conferito la Legione d’Onore.
Nell’agosto 2016, dopo il fallito colpo di Stato in Turchia, è stata arrestata insieme ad altri 22 giornalisti del giornale pro-curdo Özgür Gündem con l’accusa di “propaganda terrorista” e “affiliazione a un’organizzazione terroristica” (il PKK), trascorrendo circa cinque mesi in prigione. Quattro suoi articoli, incentrati sulla situazione dei distretti della Turchia Sud-Orientale, diventati uno scenario di operazioni militari e di coprifuoco, sono stati presentati come prova.
È stata anche accusata di “agire per distruggere l’unità nazionale”, l’accusa che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan riserva per chiunque osi criticare il suo lavoro. Attualmente vive in esilio in Germania e rischia l’ergastolo. In rete è costantemente minacciata assieme alla sua famiglia, e ogni sua dichiarazione diventa una scusa per attaccarla e diffondere falsità contro di lei. È una delle protagoniste di Terroriste – Zehra e le altre (qui il trailer) documentario italiano, prodotto da Creative Nomads, ideato e co-diretto da Francesca Nava, sulla repressione attuata dal Governo turco.
Testimonianza raccolta da Francesca Nava
L’umorismo è l’unica cosa che il neo fascismo turco non sopporta. I nostri dittatori, il principale e le sue repliche in miniatura, non riescono a sopportare l’idea di essere ridicolizzati. E’ per questo che non sono rimasta sorpresa dalla reazione dell’AKP (il partito della Giustizia e dello Sviluppo, fondato da Recep Tayyip Erdogan, ndr) o del suo alleato più nazionalista l’MHP (il braccio politico dei Lupi grigi, ndr), che hanno avuto un impeto di rabbia per la notizia che “Bella Ciao” sia stata diffusa in diverse moschee a Smirne. “Bella Ciao” non è una marcia partigiana vecchio stile per l’oppositore turco, è un inno ancora vivo, con l’anima resistente divenuta un simbolo durante i giorni di Gezi Park.
Quando sono stata rilasciata dalla prigione le mie compagne di cella curde, conoscendo i miei legami emotivi con questa canzone, l’hanno cantata in turco per me come ultimo addio. Dal momento che chi ci governa non riusciva a trovare nessun responsabile dello scandalo da mandare in prigione (in tempi di coronavirus l’arresto è doppiamente pericoloso), hanno tirato fuori la loro rabbia da un membro del CHP (il partito Popolare Repubblicano, erede del kemalismo, principale forza politica laica socialdemocratica della Turchia, ndr). Una giovane donna – che a malapena ha twittato sulla diffusione di questa canzone e ha chiesto una spiegazione – è stata arrestata. Sì arrestata!
Decine di migliaia di persone vengono arrestate per aver semplicemente twittato o ritwittato in Turchia. Qualche giorno fa è stato preso in custodia un ragazzo che aveva creato una piattaforma, il “Movimento senza Nomi”, poche ore dopo è stato arrestato anche un giornalista che ha commentato. Entrambi sono stati rilasciati fino a quando il signor Erdogan ha commentato che non gradisce davvero tali tweet. Ora, naturalmente, il giovane è tornato in prigione. Vorrei ricordare che il virus è già scivolato nelle carceri, portandosi via vite umane. Il CHP, il principale partito di opposizione, ha reagito dimostrando che tutto diventa aspro, poi amaro, poi futile, forse persino fatale in Turchia.
Hanno denunciato la trasmissione di “Bella Ciao” in maniera ancora più forte di quanto abbia fatto il governo, ripetendo a cuore aperto il lungo discorso sulla sacralità della moschea e della bandiera. Al momento non solo duecento giornalisti, ma anche decine di migliaia di persone che hanno usato Internet per condividere le loro idee, sono in prigione. Le condizioni igieniche sono spaventose, la possibilità di vedere un medico esiste solo in teoria, la pandemia potrebbe portare a uno sciopero devastante in qualsiasi momento. Osman Kavala e Ahmet Altan sono nella prigione di Silivri, dove quasi un centinaio di prigionieri sono risultati positivi al Covid. Davvero non so più che cosa dire. Forse ascoltate solo “Bella Ciao” e piangete.
Asli Erdogan
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