A Mark Wilson, studente universitario londinese, è affondata la casa. All’inizio della sua triennale aveva calcolato che investire 15mila euro in una houseboat – una barca munita di spazi dove vivere – sarebbe stato vantaggioso rispetto ad affittare una stanza durante gli studi.
L’idea di vivere sull’acqua spostandosi lungo i navigli della City gli sembrava trendy, la mossa alternativa per risparmiare. Quando la sua cucina a gas è scoppiata, portandosi in fondo al Regent’s canal non solo la barca ma anche tutti i suoi averi, è rimasto illeso ma senza un soldo. La beffa è stata la multa per danno ambientale, oltre alle spese per la rimozione del relitto.
Nella capitale li chiamano canal gypsies, gli zingari dei canali. La loro crescita è esponenziale secondo i dati che l’ente responsabile – il Canal and River Trust – ha accettato di rivelare: più di 10mila persone che abitano fra le 4mila e le 5mila barche, il doppio rispetto a soli sette anni fa e rispetto agli attracchi regolari della City. Il motivo? I prezzi delle case: non smettono di aumentare e stanno causando una vera e propria crisi abitativa.
L’appartamento londinese medio costa ormai più di mezzo milione di sterline, il 20 per cento in più dall’inizio dell’anno. Le conseguenze del thatcheriano “right to buy”, un programma per cui i detentori di case popolari potevano acquistarle a prezzi stracciati che è stato rilanciato da David Cameron, fanno sì che un londinese su dieci sia sulla lista d’attesa per i domicili statali.
Le houseboats permettono di saltare la fila, vivere in centro cambiando zona a piacimento, e sposare uno stile di vita che va sempre più di moda.
A Little Venice ci arrivi all’improvviso percorrendo Edgware road, il vialone arabo nel cuore di Londra dove si mangiano meze libanesi, si fuma narghilè, e si discute sfogliando giornali sauditi, egiziani e siriani. La sera la luce dei lampioni fa specchiare gli alberi nell’acqua nera del canale, rendendo pittoresca la scenografia in cui le tipiche narrow boats si accatastano a ridosso delle rive.
“Questa è una delle locations più gettonate nella comunità dei barcaioli londinesi”, racconta la dottoranda trentenne Alice, “insieme a Victoria Park, Angel, e Camden”. “Ma non dimenticare che la barca non è solo atmosfere romantiche e risparmio, ci sono anche disagi come scaricare il gabinetto chimico una volta a settimana e farsi la doccia dove e quando puoi”.
L’avvertimento di Alice si conferma veritiero sulla barca di Rosie White, ventiquattrenne artista di origini scozzesi. Le pareti umide della sua houseboat ai piedi di Stamford Hill, quartiere di ebrei ultraortodossi dove la lingua più parlata è lo yiddish, producono una notevole quantità di muffe. Il camino, appena montato a supporto della stufa a legna e carbone, non sembra all’altezza dell’inverno, e non potrà sconfiggere perdite di pioggia, guasti continui e topi. “Amo il contatto con la natura, l’idea di prepararmi per l’inverno che viene”, racconta Rosie sgranocchiando castagne crude, “e mi piace l’autogestione informale dei canali: il mio vicino ottantenne è attraccato da 30 anni in un luogo dove il limite legale sarebbe di tre giorni, ma la gente lo rispetta e lo lascia in pace”.
Ora che la boat bubble, la crescita della domanda di houseboat che ne ha fatto impennare i prezzi, assomiglia sempre più a quella immobiliare, il sovraffollamento è destinato a mettere fine all’anarchia benigna dei canali. “Non è più accettabile che le barche non rispettino i limiti temporali degli attracchi, e che nelle zone popolari si sistemino in file da tre o da quattro”, lamenta il consigliere di Islington Paul Convery. Il risentimento verso i boaters, con i loro rumori, i loro fumi e i loro rifiuti, cresce insieme alla richiesta che siano sottoposti anche loro alla tassazione locale.
Nel frattempo, la costruzione di nuove case nella City procede a rilento rispetto all’aumento della popolazione, che a breve toccherà ufficialmente un nuovo record.
Ha collaborato Daniel Avis
Questo articolo è uscito su l’Espresso
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