Bambino rifugiato investito e ucciso mentre si nasconde in una scatola
Un bambino rifugiato di 5 anni è stato investito da un camion ed è morto. È accaduto nei pressi del campo di migranti di Moria sull’isola greca di Lesbo. Il piccolo, originario dell’Afghanistan, si stava nascondendo in una scatola di cartone vicino alla strada quando il veicolo, in fase di manovra, lo ha investito.
L’autista ha detto alla polizia – come riporta una nota – che non si è nemmeno reso conto che nella scatola si stava nascondendo un bambino. Adesso l’uomo è in stato di fermo.
“Stiamo piangendo la morte di un bambino di cinque anni a Lesbo. Stava giocando sulla strada ed è stato colpito da un camion fuori Moria. Questa tragedia non sarebbe mai dovuta accadere”, ha commentato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) su Twitter.
Il campo di Moria è quello che in Italia chiameremmo “hotspot”. Un luogo molto più simile a un carcere che a un centro di accoglienza per persone richiedenti asilo. La capienza massima è di 3.100 persone ma ha raggiunto, nei momenti di picco, anche 10.000 “ospiti”.
Moria è il più grande campo d’identificazione ed espulsione in Grecia, allestito sull’isola di Lesbo nel 2015 per identificare i richiedenti asilo e i migranti in arrivo dalle coste turche a quelle greche dall’Asia, dall’Africa e dal Medio Oriente.
Il campo migranti di Moria a Lesbo
Il caso del bambino rifugiato investito che è morto mentre si nascondeva dentro a una scatola di cartone ha riacceso i riflettori sul campo migranti di Morti a Lesbo.
Dal 1 al 22 settembre, secondo l’Ong Aegean Boat Report, 3.472 rifugiati sono arrivati a Lesbo, un’isola greca che si trova a soli dieci chilometri dalla costa turca. Nella sola giornata di venerdì, secondo la stessa Ong, 439 persone sono sbarcate, anche se il campo di Moria è già sovraffollato con circa 12.000 migranti, quattro volte la sua capacità valutata dall’Unhcr.
Il governo greco aveva già espresso “profonda preoccupazione” per l’aumento degli arrivi di migranti sulle isole dalla fine di agosto e ha deciso di trasferire più di 2.500 rifugiati dalle isole dell’Egeo verso la Grecia continentale dall’inizio di settembre.
Il campo di Moria è stato spesso criticato dalle Ong per le disastrose e inadeguate condizioni di accoglienza per le popolazioni più vulnerabili, in particolare i bambini. Alla fine di agosto, un quindicenne non accompagnato proveniente dall’Afghanistan è morto accoltellato in una rissa nel campo.
Arrivarci non è difficile. Da Mytilene si prende la litoranea in direzione nord e dopo qualche minuto di macchina c’è la svolta per “Moria”, un piccolo paese nell’entroterra. Poco prima di arrivare nel centro abitato si vedono delle tende e poi le mura di cinta.
L’hotspot, da cui arrivava il bambino investito e morto, è gestito dalle autorità greche e l’accesso è vincolato ad un loro permesso. Attualmente la gran parte della popolazione è composta da afgani ma ci sono anche persone provenienti dall’Iraq e dai Paesi centro africani. L’ondata di siriani, soprattutto curdo-siriani, è terminata da circa un anno.
L’emergenza rifugiati al campo di Moria
“Dopo tanti anni di professione medica, posso dire di non aver mai assistito un numero così grande di persone bisognose di assistenza psicologica come a Lesbo. La stragrande maggioranza dei pazienti presenta sintomi di psicosi, ha pensieri suicidi o ha già tentato di togliersi la vita. Molti non sono in grado di svolgere nemmeno le più basilari attività quotidiane, come dormire, mangiare o comunicare”.
A raccontarlo è Alessandro Barberio, psichiatra che ha lavorato per 14 anni nel dipartimento di salute mentale di Trieste. È considerato un esperto nella gestione di emergenze di salute mentale avendo assistito persone con dipendenze e morbosità psichiatriche. Cura persone vittime di tratta e fornisce assistenza psicologica ai rifugiati e alle persone in carcere.
Eppure, nel corso della sua professione, racconta di non aver mai assistito un numero così grande di persone con problemi psicologici come a Lesbo, soprattutto bambini.