“A volte hanno solo 15 o 16 anni, sono siriane belle e truccate che provengono da eleganti contesti urbani, mentre noi siamo rovinate dalle fatiche dell’agricoltura”. A Harran, una zona rurale della Turchia in cui la popolazione è di etnia e lingua araba, le contadine raccontano che i mariti prendono terze, quarte mogli fra le bambine siriane dei campi profughi.
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La provincia di Sanliurfa, a cui appartiene la zona di Harran, è la prima per numero di rifugiati siriani insieme a quella di Istanbul.
“Le giovani che vengono concesse a uomini poligami rimangono senza alcuna tutela legale rispetto al marito”, dice Bouthina Rahhal, una profuga siriana che vive a Reyhanli, un centro urbano turco a ridosso della frontiera con la Siria a un’ora e mezzo di macchina da Aleppo. Per legge, in Turchia, si può registrare infatti una sola moglie. “E lo stesso vale per i loro figli”, aggiunge.
Rahhal insegna inglese ma la sua vera battaglia è un’altra: fare in modo che le sue alunne rifugiate in Turchia non diventino delle spose bambine. Per questo ha fondato il Syrian Women’s Committee of Reyhanli, un’organizzazione che cerca di sensibilizzare bambine e genitori sul tema delle nozze precoci.
“Una delle mie studentesse è venuta a dirmi che avrebbe smesso di frequentare i corsi, visto che si sarebbe sposata a breve”, racconta la professoressa a TPI. “Aveva solo 14 anni e così ho provato a convincerla che avrebbe fatto meglio a continuare gli studi”.
Ma non c’è stato nulla da fare: “mi ha detto che l’unica chance era che convincessi i genitori, ma quando li ho contattati mi hanno spiegato che si trattava di un matrimonio in famiglia, e che quindi rifiutare l’offerta sarebbe stato poco rispettoso”.
“Al pari del lavoro minorile, il matrimonio precoce condanna le bambine ad un’esistenza misera, fatta di ignoranza e povertà”, spiega Rahhal. “Vengono preclusi loro percorsi di sviluppo personali e professionali, vengono spesso costrette ad avere rapporti sessuali e parti precoci, e devono abbandonare anzitempo le proprie famiglie.”
Quello delle spose bambine è un problema che ha radici profonde in Turchia, e riguarda anche la popolazione locale. Questo uno dei motivi per cui Ankara è scivolata al 130° posto nell’ultimo “Global Gender Gap Index” del World Economic Forum, su 144 paesi (fanalino di coda, lo Yemen). Con l’arrivo di circa tre milioni di rifugiati siriani dall’inizio della guerra civile nel 2011, il fenomeno si è ulteriormente aggravato.
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Nel centro di Sanliurfa, capoluogo della provincia omonima, sarebbero addirittura il 60 per cento i matrimoni che coinvolgono un minore, secondo le ricerche del Professor Erhan Tunc della Gaziantep University.
Ancora più sorprendente il dato che riguarda la Turchia nel suo complesso. Sempre secondo Erhan Tunc, oltre il 33 per cento delle nozze che si celebrano in Turchia interessano un minore. Un matrimonio su tre, come confermano anche altri studi.
“Nel caso dei siriani si tratta di una pratica principalmente legata a povertà e marginalizzazione”, spiega a TPI Kaan, un responsabile di Unicef ad Ankara. “Alcune famiglie concedono la figlia per assicurarsi che qualcuno se ne prenda cura, altre ottengono anche compensi economici per tirare avanti”.
Michelangelo Guida, professore italo-turco dell’Università 29 Maggio di Istanbul, ribadisce che il problema è molto diffuso anche fra i turchi. “Mia suocera, proveniente proprio dalla provincia di Sanliurfa, è stata data in sposa a 15 anni al cugino, e nessuna delle sue sorella è arrivata ai 18 anni senza marito”, racconta.
“Nel caso dei turchi è un problema culturale, che riguarda in particolare le province curde che sono meno avanzate e scolarizzate dal resto del paese”, continua il professore. Invita però a rimanere prudenti sui dati: “Trattandosi perlopiù di matrimoni illegali, celebrati con rito religioso e quindi senza che vengano registrati, è molto difficile avere statistiche affidabili”.
A novembre 2016 il governo turco aveva proposto un disegno di legge che, secondo i critici, avrebbe “regolarizzato” la pratica dei matrimoni precoci. Il provvedimento voleva differenziare gli abusi sui minori in base alla fascia d’età, e concedere la grazia a chi accettasse di sposare la vittima dopo aver commesso un atto di violenza sessuale.
“In alcune zone rurali della Turchia è normale sposarsi prima del compimento della maggiore età, per poi legalizzare in seguito il matrimonio”, spiega la parlamentare del partito di Erdogan Ravza Kavakçı Kan, che era favorevole al provvedimento.
“Ma se le autorità vengono a conoscenza de matrimonio anticipato, per esempio perché la ragazza partorisce un bambino e la coppia diviene quindi nota ai registri dell’ospedale, il marito può essere messo in prigione”. E continua: “Ci sono oltre tremila famiglie in questa situazione, non ha senso costringere un padre alla galera se il tutto era avvenuto in maniera consensuale”.
Per fermare il provvedimento è stata necessaria una levata di scudi trasversale, che ha coinvolto oltre alle opposizioni anche esponenti del partito di governo AKP. Persino la figlia del Presidente Erdogan, Sumeyye Erdogan, si è opposta attraverso la sua organizzazione femminista Kadem.
Ma secondo Kaan, che parla a TPI dagli uffici Unicef di Ankara, non è da escludersi che il governo torni a considerare misure simili. “L’identità islamista-conservatrice del partito di maggioranza rende i suoi esponenti ambivalenti rispetto alla piaga delle spose bambine in Turchia”, spiega. “Se da una parte dichiarano di volerla combattere, dall’altra tendono a minimizzare”.
La legge turca rimane molto ambigua sulla questione delle spose bambine. Oltre ad essere applicata in maniera scarsa, è contraddittoria rispetto alla soglia d’età sotto la quale il matrimonio è considerato illegale. Il codice civile fa riferimento al compimento dei 17 anni, mentre quello penale a soli 15 anni. La “legge per la protezione dei bambini”, infine, si allinea con gli standard internazionali facendo riferimento ai 18.
Secondo le stime dell’Unicef, al mondo ci sono oltre 700 milioni di donne che sono state costrette a sposarsi ancora bambine. Di queste, circa 250 milioni prima del compimento dei 15 anni. “È una battaglia che riguarda leggi, usanze e tenore di vita”, conclude Bouthina Rahhal.
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