La bambina curda sul letto di ospedale
La bambina nella foto si chiama Sara Hossein ha 8 anni e viene da Qamishli, la città siriana controllata dai curdi vicinissima al confine con la Turchia. Stava giocando con i suoi due fratellini quando un razzo ha colpito la loro casa. Sara ha perso la gamba destra. Il fratello maggiore, Muhammed, di 13 anni è morto sul colpo. L’altro, Ahmed, 7 anni, ha perso la vista all’occhio destro. A raccontare la sua storia è il reporter di VOA Rebaz Majeed.
La foto della bambina curda che piange disperata su un letto di ospedale e la drammatica immagine del bambino con il volto sfigurato dalle ustioni sono un simbolo delle atrocità della guerra in Siria.
TPI ha sul campo l’inviata speciale Benedetta Argentieri che da lì documenta tutto quello che sta accadendo nel Rojava.
“Di fronte all’inizio dell’offensiva militare nel nord-est della Siria, chiediamo a gran voce a tutte le parti coinvolte di fermare l’escalation delle violenze e di assicurare in ogni modo possibile la protezione e la sicurezza delle migliaia di bambini, e delle loro famiglie, già sfiniti da una guerra che dura ormai da più di otto anni e la cui vita da oggi è ulteriormente a rischio”, denuncia il direttore della comunicazione di Save the Children Filippo Ungaro.
Nella zona teatro dell’offensiva, sottolinea l’Organizzazione internazionale, 1,65 milioni di persone hanno già bisogno di assistenza umanitaria, tra cui più di 650mila sfollati.
In grave pericolo, inoltre, gli oltre 9mila minori, di oltre 40 nazionalità diverse, che attualmente vivono in condizioni già precarie in tre campi sfollati presenti nell’area e che rischiano di perdere la vita se le operazioni belliche dovessero portare a una interruzione degli aiuti umanitari.
“Ogni guerra è una guerra sui bambini e le conseguenze di queste operazioni sulla loro vita potrebbero essere devastanti – prosegue Filippo Ungaro – I bambini che vivono nei campi, nella loro vita, non hanno conosciuto altro che violenze e distruzione. Bisogna pertanto agire immediatamente, prima che sia troppo tardi: la protezione dei civili deve essere una priorità per le parti coinvolte e ci appelliamo ai governi stranieri affinché mettano in campo tutti gli sforzi necessari per mettere in salvo i bambini e le donne nei campi, al fine di rimpatriarli prima che l’accesso diventi ancora più complicato”.