Era l’inizio di dicembre del 2020 e da meno di un mese era stato firmato il cessate il fuoco in Nagorno Karabakh con una dichiarazione trilaterale tra l’Azerbaigian, l’Armenia e la Russia. Il conflitto aveva permesso a Baku di riprendere il controllo della maggior parte dei sette distretti occupati dalla mai riconosciuta Repubblica armena dell’Artsakh che, tre anni dopo (nel settembre scorso), l’esercito azero riuscirà a cancellare completamente dalle mappe.
Allora, la prima delegazione europea ad arrivare nella capitale azera il 5 dicembre 2020 partì proprio dall’Italia. Si trattava di un gruppo bipartisan di parlamentari, tra cui l’allora vice presidente della Camera, Ettore Rosato (Italia Viva), i senatori Maria Rizzotti (Forza Italia), Alessandro Alfieri (Pd), Gianluca Ferrara (M5S) e Adolfo Urso (Fratelli d’Italia), e i deputati Rossana Boldi (Lega) e Pino Cabras (allora M5S). Pochi giorni dopo, a seguito di una visita in Armenia, arrivò a Baku anche l’allora sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano (allora M5S). Entrambe le delegazioni non si fermarono però solo nella capitale, ma visitarono anche le città di Ganja (la seconda del Paese) e di Aghdam, appena riconquistata dagli azeri.
I politici italiani erano lì per promuovere il dialogo e la pace, ma sul tavolo dei colloqui c’erano anche questioni di carattere economico e commerciale. D’altronde, i rapporti tra Italia e Azerbaigian sono da sempre improntati agli affari, soprattutto energetici, senza distinzione di colore politico.
Sete energetica
Con una quota del 46%, pari a 17,7 miliardi di dollari, nel 2022 il nostro Paese rappresentava la principale destinazione delle esportazioni azere e la maggior parte di queste erano idrocarburi. Secondo la Banca mondiale, quasi il 92% dell’export di Baku è composto da petrolio, gas, oli e altri derivati. Soltanto l’anno scorso, secondo i dati del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, l’Italia ha importato dall’Azerbaigian oltre 10,32 miliardi di metri cubi di gas attraverso il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap), che insieme a Scp e Tanap collega il Paese caucasico alla Puglia via Georgia, Turchia, Grecia e Albania. L’anno prima erano stati 7,2 i miliardi di metri cubi di gas importati attraverso il punto di interconnessione di Melendugno, mentre nei primi sette mesi di quest’anno (ultimi dati disponibili), hanno già superato i 5,7 miliardi. Secondo la Relazione Annuale di Arera, relativa al 2022, questo ha fatto di Baku il terzo fornitore nazionale di gas dopo Algeria e Russia con il 14,2% delle quote di provenienza, in crescita rispetto al 9,9% del 2021. Dati in aumento e che sono destinati a salire ancora di più.
L’anno scorso infatti la Commissione europea ha firmato un protocollo d’intesa con l’Azerbaigian per ampliare il Corridoio meridionale del gas, di cui fa parte il Tap, raddoppiandone la capacità nei prossimi anni fino a 20 miliardi di metri cubi all’anno. Proprio a gennaio, il consorzio che gestisce il gasdotto (partecipato dalla statale azera Socar, dalla nostra Snam, dalla britannica Bp, dalla belga Fluxys e dalla spagnola Enagás, tutte al 20%) ha annunciato l’attivazione del primo livello di espansione della capacità dell’opera. Un processo graduale che dovrebbe portare al raddoppio dei flussi entro il 2027. Un affare miliardario e non è l’unico. L’anno scorso infatti, secondo il rapporto 2023 dell’Unione Energie per la Mobilità (Unem) il nostro Paese ha importato il 14,4% del petrolio dall’Azerbaigian. Ma non finisce qui.
Cooperazione nella difesa
I rapporti bilaterali con Baku contano un altro fronte: quello militare. Malgrado la dichiarazione di Praga del Comitato Alti Funzionari Osce del 1992 che invita a non cedere o fornire armamenti ad Armenia e Azerbaigian, nel novembre 2012 l’Italia firmato con Baku un “Accordo sulla cooperazione nel settore della Difesa”, ratificato ed entrato in vigore nel 2017. Un’intesa che, come si legge nel capoverso intitolato “Finalità”, «mira anche ad indurre positivi effetti indiretti in alcuni settori produttivi e commerciali dei due Paesi». L’articolo 6 infatti «disciplina la cooperazione nel campo dei materiali per la difesa», concordando «la possibilità di fornire reciproco supporto alle iniziative commerciali» nel settore e individuando «le modalità attraverso le quali potrà attuarsi la cooperazione nel campo dell’industria della difesa e della politica degli approvvigionamenti, della ricerca e dello sviluppo degli equipaggiamenti».
In quello stesso anno, sui media si parlò di un accordo tra la controllata di Leonardo, AgustaWestland, e il governo azero per la fornitura di 10 elicotteri, affare di cui però non c’è traccia nei documenti ufficiali e che non si sa se sia mai stato portato a termine.
L’anno successivo poi arrivò la prima e ufficialmente unica fornitura militare italiana a Baku: la Selex Es esportò due radar di sorveglianza in Azerbaigian, poi indicati dalle relazioni ufficiali del ministero degli Esteri e dell’Agenzia delle Dogane come «Apparecchiature per la direzione del tiro».
Nel 2017 invece Leonardo firmò con Socar un accordo per «incrementare la sicurezza fisica e cyber delle infrastrutture per gli approvvigionamenti energetici e garantire maggiore efficienza alle attività della società azera». Tre anni dopo, nel febbraio 2020, il Governo firmò una lettera d’intenti con le autorità azere per l’acquisto da parte di Baku di 12 aerei da addestramento M-346 di Alenia Aermacchi, sempre di Leonardo, un’altra operazione di cui poi però non se ne fece più nulla.
Un affare ben più concreto si è tuttavia realizzato a giugno, quando Leonardo ha confermato la firma di «un contratto per il C-27J alla Forza Aerea dell’Azerbaijan», senza specificare né le cifre dell’accordo né il numero dei velivoli da trasporto tattico venduti a Baku.
Nuove opportunità però sono all’orizzonte, specie dopo la visita nel Paese a gennaio del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Secondo indiscrezioni di Repubblica, l’Azerbaigian ha una lunga lista della spesa militare da quasi 2 miliardi di euro, compresi caccia, artiglieria, missili, aerei da trasporto e, soprattutto, sottomarini. In particolare, Baku sarebbe interessata all’acquisto di navigli prodotti dalla Drass Galeazzi di Livorno, «battelli con dimensioni ridotte e prestazioni micidiali». Tutti affari per ora bloccati dal mancato nulla osta dell’Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento (Uama), che regola l’export di armi dall’Italia. E così, secondo l’ultima relazione annuale al Parlamento, l’anno scorso Roma ha concesso solo due autorizzazioni per l’export a Baku di armi di piccolo calibro per un valore di 15mila euro.
Diplomazia del caviale
Le autorità azere però non si disperano e puntano invece sulla cosiddetta “diplomazia del caviale”, finanziando attività culturali nel Bel Paese.
Attraverso la Fondazione Heydar Aliyev, intitolata al padre dell’attuale presidente Ilham, nel 2013 Baku ha stanziato 110mila euro per il restauro della Sala dei Filosofi di Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini a Roma. L’anno successivo, un altro milione di euro è arrivato per riunificare i Fori di Traiano, Augusto e Nerva nella capitale. Mentre la stessa fondazione, d’accordo con il Vaticano, ha finanziato anche il restauro delle catacombe di Commodilla alla Garbatella e di quelle dei Santi Marcellino e Pietro al Casilino, sempre a Roma. Una generosità che sa tanto di lobbismo.
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