Due emittenti televisive del Myanmar hanno riportato che le negoziazioni in corso tra Aung San Suu Kyi e la dirigenza militare potrebbero avere esito positivo e sospendere la norma costituzionale che impedisce alla leader democratica di diventare presidente.
La norma in questione è l’articolo 59 (f) che vieta a chiunque abbia coniuge o figli di cittadinanza straniera di assurgere alla massima carica esecutiva. L’articolo prende di mira proprio Aung San Suu Kyi, il cui marito – morto nel 1999 di cancro – e i suoi due figli hanno cittadinanza britannica.
Sky Net e la Televisione Nazionale del Myanmar hanno mandato in onda un comunicato identico nella tarda serata di domenica 7 febbraio 2016, annunciando progressi positivi nei colloqui per la sospensione dell’articolo 59 (f).
La cancellazione della norma richiede l’approvazione dei due terzi del parlamento. L’esercito conserva un quarto dei seggi parlamentari, perciò il partito di Aung San Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) non può disfarsene autonomamente. Aung San Suu Kyi ha quindi intavolato una trattativa in merito, con il comandante supremo dell’esercito Generale Min Aung Hlaing.
Un membro del Comitato centrale dell’Nld, Kyaw Htwe, ha manifestato un certo ottimismo commentando che le negoziazioni avranno esito positivo e il leader dell’Nld diventerà infine presidente del Myanmar.
Più cauto l’analista politico Yan Myo Thein, riporta il Guardian. “È troppo presto per confermare che Suu Kyi sarà uno dei candidati alla presidenza. Occorre tempo per la sospensione della norma e l’emendamento costituzionale. Non si può fare un commento sulla base di un breve comunicato televisivo”, ha dichiarato Yan Myo Thein.
In precedenza, Aung San Suu Kyi aveva chiarito che anche senza diventare il presidente sarà lei a guidare il paese da dietro le quinte. Resta inteso che l’Nld preferibbe che l’iconica Lady, che ha lottato gran parte della sua vita per riportare la democrazia in Myanmar, diventasse presidente.
Venerdì 5 febbraio, è stato costituito un comitato di consulenti legali formato da esperti e membri della camera bassa guidato da Shwe Mann, ex leader dell’Union solidarity and development, partito legato all’establishment militare. Shwe Mann è uno dei pochi alleati di Aung San Suu Kyi appartenente allo schieramento rivale e si ritiene che sarebbe favorevole a una modifica costituzionale.
L’elezione del presidente comincerà il 17 marzo – così come annunciato dal presidente delle camere Mahn Win Khaing Than –, a ridosso della scadenza del primo aprile, quando il nuovo governo comincerà i lavori. Tale tempistica sembra suggerire che le trattative tra l’Nld e l’esercito stanno richiedendo più tempo del previsto. Infatti, esponenti dell’Nld avevano dichiarato in precedenza che le elezioni presidenziali si sarebbero svolte in febbraio.
Un esponente di spicco dell’establishment militare ha tuttavia negato che tra le materie di discussione ci sia anche la modifica costituzionale di cui si è parlato. Il generale di brigata Tin San Naing ha dichiarato a Reuters lunedì 8 febbraio: “Non sono in corso trattative tra l’esercito e l’Nld sull’articolo 59(f)”, sottolineando che esso può essere emendato solo con l’approvazione dell’esercito.
“L’articolo non può essere sospeso, sarebbe anti-costituzionale. È già stato discusso in parlamento quindi non dovrebbe essere proposto e discusso nuovamente. Quell’articolo è stato inserito nella costituzione con l’intento preciso di proteggere la nostra gente dall’ingerenza straniera”, ha spiegato Tin San Naing.
Il processo per l’elezione presidenziale è piuttosto lungo. Ciascuna delle due camere del parlamento proporrà il suo candidato, mentre un terzo concorrente verrà selezionato dai militari. Le camere voteranno quindi in seduta congiunta e i due candidati esclusi serviranno come vice-presidenti.
Le elezioni del novembre 2015 hanno assegnato l’80 percento dei seggi disponibili all’Nld: 135 seggi della camera alta e 255 seggi della camera bassa.
Dopo mezzo secolo di dominio militare incontrastato in Myanmar, il partito di Aung San Suu Kyi ha preso possesso del nuovo parlamento birmano, insediatosi lunedì primo febbraio 2016, grazie a una maggioranza che permetterà al premio Nobel per la pace di instaurare un governo democraticamente eletto per la prima volta da cinquant’anni a questa parte.
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