È iniziato oggi a Istanbul il processo contro 11 attivisti per i diritti umani accusati di associazione terroristica che, in caso di condanna, rischiano fino a 15 anni di carcere.
Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come
Tra questi vi sono Idil Eser e Taner Kiliç, rispettivamente direttrice e presidente di Amnesty International in Turchia, e due cittadini stranieri: il tedesco Peter Frank Steudtner e lo svedese Ali Gharavi.
Gli imputati erano già stati fermati lo scorso luglio nel corso di un seminario sulla sicurezza digitale svoltosi su un’isola vicino a Istanbul. Otto di loro si trovano già in carcere.
Un gruppo composto da circa 50 rappresentanti di associazioni per la tutela dei diritti umani e di consolati stranieri ha partecipato alla manifestazione di solidarietà nei confronti degli attivisti sotto processo che si è svolta davanti al tribunale di Istanbul.
Il caso getta nuove ombre sulla Turchia – uno stato chiave per la NATO che confina con Iraq, Iran e Siria – e sul suo presidente Recep Tayyip Erdoğan, accusato da più parti di aver impresso una svolta autoritaria nel paese.
John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa e l’Asia centrale, era presente alle proteste contro il processo svoltesi davanti al tribunale di Istanbul.
“In apparenza si tratta di un processo contro un gruppo di attivisti per i diritti umani che stavano frequentando un seminario vicino a Istanbul, ma in realtà sono il sistema giuridico e le autorità turche a essere sotto giudizio”, ha detto Dalhuisen.
La vicenda ha peggiorato ulteriormente le relazioni già tese tra Turchia e Unione europea.
Poco dopo l’arresto di alcune delle persone coinvolte nel caso, la Germania aveva annunciato l’intenzione di voler rivalutare gli accordi sulla vendita di armi ad Ankara.
Un ministro tedesco ha paragonato l’atteggiamento della Turchia a quello della Repubblica Democratica Tedesca, l’ex Germania Est.
La cancelliera tedesca Angela Merkel si è dichiarata favorevole alla sospensione dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, aperti ufficialmente nel 2005 e rimandati più volte, nonostante le pressioni di Erdogan per riaprire il tavolo di confronto.