Un attivista egiziano, Khaled Abdel Rahman, è stato trovato venerdì 22 aprile su un lato di una strada nel deserto, alla periferia del Cairo. Il corpo mostrava evidenti segni di tortura, secondo quanto riferito dai familiari. Al momento, il giovane attivista è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Alessandria.
“Il suo corpo è coperto di segni di percosse e torture. Sono evidenti segni di scosse elettriche applicate ai suoi genitali, così gravi a tal punto da averne causato l’atrofia”, ha scritto in un post su Facebook la sorella del giovane, Reem Abdel Rahman.
Secondo le testimonianze dei parenti, Abdel era stato arrestato il giorno prima durante un raid compiuto dalle forze di sicurezza nella sua casa.
L’incursione delle forze di sicurezza egiziane nell’abitazione del giovane attivista, rientra nell’ottica della più ampia ondata di arresti compiuti dalla polizia negli ultimi giorni in tutto l’Egitto, al fine di scongiurare proteste e manifestazioni indette per lunedì 25 aprile.
Decine di persone, tra cui attivisti e avvocati, sono stati arrestati nella notte fra giovedì e venerdì, con l’accusa di aver organizzato e promosso manifestazioni di massa contro la decisione del governo di aver ceduto all’Arabia Saudita – tramite la firma di un accordo economico – due isole strategiche sul Mar Rosso.
Dal 7 al 12 aprile, la visita al Cairo del re saudita Salman si era conclusa con la firma di una serie di accordi economici per progetti di sviluppo e investimenti nel paese, del valore di oltre 20 miliardi di dollari. Non solo. In questi accordi era inclusa anche la cessione delle due isole, Tiran e Sanafir, situate all’imbocco del Mar Rosso, che dovrebbero servire per la costruzione di un ponte che collegherà Sharm el Sheikh, nel Sinai egiziano, alla penisola saudita.
Tre giorni dopo la firma degli accordi, il 15 aprile, centinaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutto l’Egitto, scandendo slogan contro al-Sisi e chiedendo l’annullamento del contratto stipulato fra il Cairo e Riad.
Per l’occasione, la polizia aveva arrestato oltre 100 manifestanti. La maggior parte sono stati poi rilasciati nei giorni successivi, ma almeno 50 di loro risultano ancora detenuti e accusati di aver violato la legge sulle proteste, di aver indetto delle assemblee illegali e di aver ostacolato la pubblica sicurezza.
Sempre il 15 aprile, il partito dell’alleanza socialista popolare egiziano aveva deciso di aprire i suoi uffici per consentire ai suoi sostenitori di firmare una petizione dal titolo “L’Egitto non è in vendita”.
Il presidente egiziano al-Sisi ha respinto ogni accusa e ogni illazione e ha invece avvertito di “continui tentativi dall’interno del paese e fuori di esso, di fermare il progresso verso la creazione di un Egitto moderno”. Durante un discorso televisivo, al-Sisi ha sottolineato che “l’Egitto oggi è un paese che garantisce maggiore sicurezza e protezione, e sta prendendo misure incisive verso la crescita”.
Ma gli attivisti e numerosi quotidiani indipendenti egiziani continuano ad accusare il presidente di voler continuamente soffocare ogni forma di dissenso.
E molti di loro non hanno dimenticato di tracciare dei paralleli fra le torture subite dall’attivista Abdel Rahman e quelle inferte al ricercatore italiano, Giulio Regeni, il cui corpo fu rinvenuto in un fossato appena fuori dal Cairo nel mese di febbraio.
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