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    Non possiamo sconfiggere il jihadismo se non capiamo chi lo finanzia

    Lo scopo finale dell’estremismo islamico è portarci alla guerra globale, ma come fanno i terroristi a divulgare le loro ideologie e dove ottengono sostegno? L'analisi

    Di Massimiliano Fanni Canelles
    Pubblicato il 23 Mag. 2017 alle 12:25 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:15

    Nuova vigilia elettorale e nuovo attentato nella logica dell’estremismo islamico in funzione di alimentare il terrore, ma anche di portare al potere i gruppi politici occidentali di ideologia estremista. L’obiettivo dei terroristi è sempre quello di allargare il conflitto il più possibile e quindi di trovare amministrazioni meno inclini alla mediazione.

    Sì, questo è lo scopo finale dell’estremismo islamico: portarci tutti alla guerra globale, portare la guerra alle porte di casa nostra come noi l’abbiamo portata alle loro. Ma è il caso di fare alcune considerazioni su come i terroristi ottengono la divulgazione delle ideologie, il consenso e i il sostegno anche organizzativo.

    Il Regno Unito oggi si sveglia registrando a Manchester l’attentato più grave dalle bombe alla metropolitana del 2005 e solo due mesi dopo quello di Westminster. I resti del kamikaze sono stati rinvenuti tra quelli delle 22 persone morte nell’esplosione al termine del concerto di Ariana Grande nella Manchester Arena.

    Il presidente statunitense Donald Trump sta concludendo il suo viaggio in Medio Oriente annunciando l’inasprimento alla lotta al terrorismo e all’islam “del male”, dichiarando come questo Islam sia prevalentemente localizzato nell’ambito delle fazioni sciite in Iran. La chiara scelta di campo di Trump si inserisce in una secolare guerra politico-religiosa all’interno del mondo islamico.

    La tensione fra Iran sciita e Arabia Saudita sunnita è l’ultima espressione di una guerra scaturita alle origini dell’Islam, alla morte del profeta Maometto. Sunniti e sciiti si sono spartiti geograficamente e politicamente i pezzi dello scacchiere mediorientale e perseguono, senza mediazione ma con intransigenza, l’obiettivo di eliminarsi a vicenda.

    Mentre in Iran si celebrava la rielezione del moderato Hassan Rouhani a discapito del candidato del supremo leader religioso Ali Khamenei, Trump dichiarava fiducia e scambi commerciali alla monarchia antidemocratica di Riad: quel governo – l’Arabia Saudita – che viola i diritti umani delle donne e dei prigionieri; quell’amministrazione che produce, legittima, diffonde, predica lo wahabismo, la più radicale corrente sunnita dalla quale discende Osama Bin Laden e che in molti dichiarano mentore dello Stato Islamico, anch’esso sunnita.

    “Il gruppo Stato Islamico e l’Arabia Saudita. Nella sua lotta al terrorismo, l’occidente è in guerra con l’uno ma stringe la mano all’altro”, scrive Kamel Daoud sul quotidiano The New York Times.

    Non che in Iran siano tutti angeli e buonisti. Il consiglio nazionale della resistenza iraniana, presieduto da Maryam Rajavi – che si trova in esilio – dichiara che da quando Rouhani ha assunto la sua carica, ci sono state più di 800 le esecuzioni e sia Amnesty International, Human Rights Watch, che il Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani hanno rilasciato varie dichiarazioni di condanna alle impiccagioni forsennate del regime. Ma forse ciò che preoccupa maggiormente l’amministrazione americana e l’occidente, Israele ed Arabia Saudita compresi, è l’intenzione dell’Iran di fornirsi della bomba atomica e di continuare le sue sperimentazioni nella ricerca nucleare.

    Di certo le milizie irachene sciite che combattono a Mosul il califfato sunnita dell’Isis, ma che appartengono a quella parte del mondo islamico che Trump considera il male, si domanderanno quanto sia lecito continuare a rendersi disponibili alle forze capitanate dagli Stati Uniti. Ma altrettanto certamente dobbiamo noi domandarci quanta responsabilità ha l’occidente nell’alimentare odio, violenza e finanziamenti verso quella cultura medioevale islamica che non può e non deve conciliarsi con le democrazie occidentali.

    I fattori che complicano la geopolitica del Medio Oriente e che introducono l’Occidente in questa guerra fratricida islamica sono la nostra dipendenza energetica dal petrolio e il conseguente fiume di denaro che versiamo, la vendita di armamenti e l’utilizzo di questi in tutto il Medio Oriente e la questione israeliana, forte avamposto statunitense nell’area. E in questo senso dobbiamo leggere il gigantesco pacchetto di shopping arabico che sfiora, secondo Trump, i “400 miliardi di dollari” e che pone gli Stati Uniti come il principale fornitore di armi e di appoggio politico alla dinastia sunnita dell’Arabia Saudita.

    Quello che è inconcepibile è come l’Occidente continui a considerare questa teocrazia un alleato e voglia mantenere la sudditanza al Medio Oriente in funzione del dio petrolio. Le tecnologie per liberarci dalla dipendenza dei combustibili fossili ci sono, dalle variegate fonti rinnovabili alle nuove centrali solari a concentrazione di cui la prima è appena stata messa in funzione in Marocco con ampio finanziamento dell’Unione europea: la Ouarzazate Solar Power Station che nel 2020 produrrà 580 MegaWatt. Ma ancor più dobbiamo pensare al prossimo futuro con le tecnologie delle centrali a fusione nucleare di cui l’Italia è in primo piano nella produzioni dei magneti di contenimento del plasma che verranno messi in funzione, nei prossimi anni, nella centrale di Cadarache in Francia.

    Spegnere il flusso di denaro verso tutti i paesi arabi permetterebbe di certo di ridurre le capacità economiche di queste culture così lontane dai concetti di democrazia, tutela dei diritti umani e pari opportunità e anche probabilmente di impedire il finanziamento al terrorismo internazionale. Di certo non sarà facile liberarci dai lacci delle multinazionali collegate al florido mercato del Medio Oriente che produce molti soldi ma anche violenza e morti.

    Ma ancor più sarà difficile slegarci dall’impostazioni della “Fatwa Valley”, l’industria, ormai radicata nelle culture locali, che produce teologi, leggi religiose, libri e politiche editoriali estremiste. Migliaia di giornali, siti web e di canali televisivi islamisti (come Echourouk e Iqra) impongono la loro visione unica del mondo: da questioni sull’abbigliamento a ciò che è permesso o non lo è, cosa bisogna combattere o meno. In essi l’Occidente è presentato come il luogo “dei paesi empi”, gli attentati sono raccontati come conseguenza degli attacchi all’Islam, i musulmani e gli arabi devono essere nemici dei laici e degli ebrei. La questione palestinese, la distruzione dell’Iraq e il ricordo del trauma coloniale vengono usati per convincere le masse alla guerra santa.

    Tutto questo permette il reclutamento di adepti più o meno stabili psicologicamente ma disposti ad immolarsi negli attentati nei paesi islamici come in quelli europei. Noi nel frattempo continuiamo a denunciare lo jihadismo come il male del secolo ma non ci si concentra su ciò che lo ha creato e lo sostiene. Forse per i politici di turno continuare nelle attuali impostazioni di politica estera sembrerà giusto e al servizio del politicamente corretto. Di certo servirà ai propri scopi elettorali, a lavarsi la faccia e le mani, ma non permetterà di prevenire futuri attentati e salvaguardare le vite umane e dei nostri figli.

    — Leggi anche: Cosa sappiamo finora dell’attacco alla Manchester Arena

    — Leggi anche: Cosa non sappiamo ancora dell’attacco alla Manchester Arena

    — Guarda anche: I video girati dentro la Manchester Arena subito dopo l’esplosione 

    — Guarda anche: Le prime immagini dopo l’attentato a Manchester

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