Nell’arco di trenta ore, tra la mezzanotte di mercoledì e l’alba di venerdì 18 agosto, la Catalogna è stata teatro di una successione di eventi dal bilancio drammatico – finora 14 vittime innocenti e almeno un centinaio di feriti; e sette fra terroristi o malviventi uccisi, quattro arrestati, uno in fuga -, il cui racconto fa emergere incongruenze, suscita domande per ora senza risposte e desta allarme.
Certamente, la polizia dispone di molti più elementi di quelli già resi pubblici – ad esempio, sa chi ha arrestato e ne conosce il background –. Noi scriviamo basandoci su quanto sappiamo finora.
Gli eventi catalani, che non si esauriscono nella mattanza sulla Rambla di Barcellona, segnalano due sviluppi importanti: il ritorno in azione di una cellula articolata, composta di almeno una decina di persone – secondo gli elementi finora disponibili –, capace di articolare e attuare piani letali e complessi e di colpire quasi contemporaneamente in luoghi diversi e distanti, come accadde la notte del Bataclan a Parigi – una situazione potenzialmente molto più pericolosa dei ‘lupi solitari’ autori delle azioni più recenti; e l’estensione alla Spagna dell’area degli attacchi, circoscritta, negli ultimi 30 mesi, a Francia, Benelux, Germania, Gran Bretagna, con sporadici episodi altrove – Svezia –, mentre gli episodi di terrore in Turchia hanno matrici fra di loro diverse e sono solo sporadicamente riconducibili all’attacco all’Europa degli jihadisti.
In estrema sintesi, questi la successione e l’intreccio degli eventi catalani: un’esplosione, nella notte tra mercoledì e giovedì, di una palazzina ad Alcanar, inizialmente attribuita a una fuga di gas, ma che potrebbe invece essere prodromo a quanto poi avvenuto – terroristi stavano preparando ordigni; l’attacco con un van sulla Rambla, 13 morti, un centinaio di feriti; la fuga del terrorista alla guida e dei complici; l’arresto di almeno due persone; il giallo del marocchino di nazionalità francese e residenza spagnola che avrebbe – o no – affittato il o i furgoni (ce n’è un secondo coinvolto); l’uccisione di un sospetto a Sant-Just (che potrebbe non avere a che fare con la vicenda principale); infine, l’auto con cinque persone a bordo dotate di finte cinture esplosive intercettata quasi all’alba a Cambrils sulla costa di Tarragona – uccisi tutti i presunti terroristi, un morto e feriti fra la gente investita e coinvolta.
La successione degli episodi, non necessariamente tutti correlati, è impressionante. Inoltre, il piano di fuga attuato sulla Rambla può suggerire nuovi scenari per quanto avvenuto a Nizza e Berlino e magari anche al ponte di Westminster in aprile e alla movida di Londra il 3 giugno.
Le principali domande senza risposta certa sono le seguenti. Se i terroristi hanno davvero affrettato la loro azione, dopo l’esplosione, ad Alcanar, della palazzina dove fabbricavano ordigni esplosivi – un morto, un arrestato, vari feriti -, ed hanno attuato un piano B, quale era il piano A? Quale doveva essere il ruolo del secondo furgone affittato?, doveva servire per la fuga?, o per un altro attacco?, e che cosa non ha funzionato nell’uno o nell’altro caso? La sparatoria con un morto a Sant-Just non ha nulla a che fare con la vicenda terroristica e s’è semplicemente sovrapposta ad essa?
Le incongruenze riguardano soprattutto l’ultimo episodio, quello sul lungomare di Cambrils: che cosa ci facevano cinque terroristi a bordo d’un solo veicolo?, e come mai sono stati sopraffatti così facilmente dalle forze dell’ordine – quattro sono stati uccisi da un solo poliziotto . In tutti i casi finora di veicolo usato come arma – siamo almeno all’ottavo episodio in Europa dal 14 Luglio 2016, sulla Promenade des Anglais a Nizza -, il terrorista alla guida era sempre solo. Perché ‘sprecare’ cinque unità per un lavoro che può essere fatto da uno solo? Evidentemente, l’obiettivo non era falciare la gente, come sulla Rambla.
Un altro dubbio pesante è relativo alla scarsa efficienza della cellula terroristica: si sono mobilitati in una dozzina per fare 14 vittime, finendo ammazzati in sei o sette e arrestati almeno in quattro. Meglio così, ovviamente. A bilanciare questa considerazione, c’è la percezione di scarsa efficienza dell’intelligence spagnola e delle forze dell’ordine: una cellula così numerosa e così ‘pasticciona’ non è stata intercettata, nonostante l’allarme filtrato dall’intelligence americana.
Le due novità e la sensazione d’indeterminatezza d’una ricostruzione con incongruenze e lacune accrescono l’apprensione in tutta l’Europa. In Italia, c’è la consapevolezza che il pericolo s’è oggettivamente avvicinato: nell’Europa un tempo ‘occidentale’, il nostro resta l’unico grande Paese esente da attacchi. Conseguenza, certo, dell’opera di prevenzione e contrasto di intelligence e forze dell’ordine; ed effetto, anche, delle caratteristiche diverse (rispetto ad altri Paesi) della presenza islamica.
Non che gli italiani non abbiano già pagato un tributo di sangue all’offensiva jihadista in Europa: ci sono state vittime italiane a Parigi e a Berlino, soprattutto a Nizza, ora anche a Barcellona. Ma deve esserci consapevolezza – nelle autorità e nei cittadini – che il rischio di un attacco ‘a casa nostra’ aumenta: non abbiamo una patente d’immunità.
Come l’Italia, anche la Spagna, che era già stata colpita, l’11 marzo 2004, alla stazione ferroviaria di Atocha, a Madrid, dal più sanguinoso attentato di al Qaida in Europa, ha intercettato e arrestato, o espulso, negli ultimi mesi decine o – andando indietro nel tempo – centinaia di integralisti. E, come l’Italia, anche la Spagna ha una storia di terrorismo interno che ha addestrato a prevenzione e contrasto forze di sicurezza e inquirenti. Ma non basta a evitare il peggio, non è bastato.
In attesa degli sviluppi delle indagini, il brusio di giubilo sui siti dell’integralismo, al diffondersi delle notizie da Barcellona, e la rivendicazione – precoce, rispetto alla tradizione – dell’attentato fatta dal sedicente Stato islamico sono ulteriori prove che la belva ferita è più pericolosa che mai.
Barcellona e la Rambla sono simbolo di accoglienza fraternità, internazionalizzazione. Barcellona è una delle capitali, forse la capitale per eccellenza, del programma Erasmus: ogni anno luogo d’incontro di decine di migliaia di studenti provenienti da tutta Europa. C’è da sperare, da augurare, da lavorare perché i turisti continuino a visitare Barcellona e gli studenti a farne una meta: più Erasmus che mai il prossimo anno accademico sulla Rambla, per unirsi al ‘non abbiamo paura’ della gente catalana.
di Giampiero Gramaglia, giornalista e consigliere IAI. Il suo account Twitter è @ggramaglia
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