L’India ha accusato il Pakistan di essere coinvolto nell’attacco alla base militare del Kashmir in cui domenica 18 settembre sono morti 17 soldati e ha definito la nazione confinante uno “stato terrorista”.
L’attacco al campo militare, in una zona di confine contesa tra le due nazioni, è stato uno dei più gravi subiti dalle forze indiane in Kashmir e ha suscitato rabbia e reazioni violente in tutta la nazione.
Il bilancio delle vittime non è ancora definitivo e potrebbe salire, perché alcuni dei 35 soldati rimasti feriti sono in gravi condizioni.
Quattro fedayeen, miliziani addestrati per compiere missioni che in genere si rivelano suicide, hanno attaccato la base di Uri, vicino il confine militarizzato che divide il Kashmir indiano dalla regione controllata dal Pakistan e sono stati uccisi dopo tre ore di combattimento.
L’esercito indiano ha specificato che nessuno dei quattro assalitori era un connazionale e che le loro armi erano di provenienza pakistana. Probabilmente appartenevano al gruppo militare Jaish-e-Mohammed, che secondo le autorità di Nuova Delhi ha legami con il governo pakistano.
Il primo ministro indiano Nerendra Modi ha condannato il “vile” attacco e ha “assicurato al paese che coloro che sono dietro all’indegna azione non resteranno impuniti”.
Finora nessun gruppo ha rivendicato l’azione e il Pakistan ha categoricamente negato qualsiasi coinvolgimento.
La tensione tra le due nazioni confinanti, entrambe potenze nucleari, era già alta dopo un’estate caratterizzata da violenti scontri in Kashmir tra la polizia indiana e manifestanti, secondo Nuova Delhi sostenuti dal Pakistan, che chiedevano maggiore autonomia e indipendenza, con vittime da entrambe le parti.