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    Assolti

    Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni erano reclusi nel carcere di Varanasi dal 2010 con l'accusa di omicidio

    Di Massimiliano Salvo
    Pubblicato il 20 Gen. 2015 alle 13:44 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 23:24

    La notizia è arrivata questa mattina all’alba. «La Corte Suprema dell’India ha assolto Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni e ne ha disposto l’immediata liberazione». Tomaso ed Elisabetta erano nel carcere di Varanasi, nell’Uttar Pradesh, da cinque anni. Erano stati arrestati all’inizio del 2010 con l’accusa di aver ucciso il loro compagno di viaggio, Francesco Montis.

    Hanno passato 1811 giorni in carcere indiano, condannati all’ergastolo per un omicidio che non avevano commesso. La loro storia non ha mai avuto molto risalto sui media nazionali, che dal 2012 si sono concentrati sul caso dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri della Marina italiana in servizio antipirateria su una petroliera accusati di aver ucciso per errore due pescatori indiani.

    Tomaso Bruno, 32 anni, è di Albenga, in provincia di Savona; Elisabetta Boncompagni, 42 anni, è di Torino. Entrambi lavoravano a Londra e all’inizio del 2010 sono andati in India insieme a Francesco Montis, il compagno di Elisabetta. La notte del 4 febbraio 2010 a Varanasi fanno uso di droghe e si risvegliano nella camera di hotel con Francesco agonizzante.

    Il 7 febbraio, dopo tre giorni in cui la polizia impone a Tomaso ed Elisabetta di restare in albergo, i due vengono arrestati con l’accusa di omicidio. Dopo un anno di processo – a causa di continui rinvii per scioperi degli avvocati, ferie dei giudici e irreperibilità dei testimoni – il 23 luglio 2011 sono condannati all’ergastolo. La sentenza viene poi confermata in appello.

    Da allora i due italiani aspettavano la sentenza definitiva nel carcere di Varanasi, dove il clima è torrido per gran parte dell’anno e la prigione particolarmente dura anche per gli standard indiani: i detenuti sono ammassati in “barak” da 140 persone e dormono per terra su stuoie e coperte, bevono acqua non potabile e condividono servizi igienici senza carta e acqua corrente.

    Sul processo ci sono state da subito molte ombre. Tomaso ed Elisabetta – e così le famiglia e i loro avvocati – si sono sempre opposti alla decisione del tribunale. “Il presunto movente sarebbe passionale”, aveva raccontato a The Post Internazionale la mamma di Tomaso, Marina Maurizio . “Il giudice ritiene vi fosse un triangolo amoroso tra loro poiché condividevano la stanza. Dopo l’autopsia hanno deciso che lo avevano ucciso strangolandolo, ma l’esame dell’accusa è stato fatto da un oculista. Non ne hanno concesso uno ulteriore e hanno subito cremato il corpo”.

    Marina Maurizio negli ultimi anni è volata decine di volte in India per stare vicina al figlio e non ha mai smesso di credere nella liberazione dei ragazzi. Ed è stata la prima questa mattina a far partire il tam tam sui social network, con urlo liberatorio sul seguitissimo gruppo Facebook a loro dedicato: «Tomaso libero, Tomaso libero, Tomaso libero».

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