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    Dai file di WikiLeaks ai 7 anni nell’ambasciata dell’Ecuador: il “caso Assange” dall’inizio

    Julian Assange
    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 11 Apr. 2019 alle 12:50 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:56

    Giovedì 11 aprile 2019 il fondatore di WikiLeaks Julian Assange è stato arrestato a Londra.

    Assange viveva da 7 anni da rifugiato politico nell’ambasciata dell’Ecuador. Da qualche mese, il nuovo presidente del paese sudamericano Lenín Moreno aveva fatto trapelare la volontà di revocare l’asilo politico al fondatore (nel 2006) di WikiLeaks, organizzazione internazionale senza scopo di lucro che riceve in modo anonimo e pubblica sul proprio sito documenti di vario tipo coperti da segreto.

    Assange si era rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador per evitare l’estradizione in Svezia e un conseguente processo per violenza sessuale. Il suo principale timore era che l’estradizione in Svezia potesse poi portare a quella negli Stati Uniti, dove Assange è sotto indagine per le attività di WikiLeaks.

    Nel 2010, infatti, l’organizzazione da lui guidata aveva pubblicato oltre 251mila documenti diplomatici statunitensi, la maggior parte dei quali coperti da segreto. Tra questi, spiccavano oltre 90mila documenti militari relativi alla guerra condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan, come conseguenza dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 a New York.

    I file sulla guerra in Afghanistan coprivano un arco temporale che andava dal 2004 al 2009. Furono passati da WikiLeaks a quotidiani The Guardian, New York Times e Der Spiegel.

    Nei documenti erano contenute prove sull’uccisione di civili da parte dell’esercito americano. Le fonti diplomatiche statunitensi riferivano anche, tra le altre cose, della sottovalutazione delle forze talebane da parte dell’esercito Usa.

    Si trattava di informazioni scottanti, la cui rivelazione mise in imbarazzo il governo americano.

    Sempre nel 2010, WikiLeaks diffuse documenti segreti sulla guerra in Iraq. Tra questi file c’era anche un video di 17 minuti che mostrava l’uccisione di 12 civili iracheni in un attacco condotto da due elicotteri militari statunitensi.

    Il soldato americano Chelasea Manning (nata Bradley Manning) venne arrestata nel maggio di quell’anno con l’accusa di aver divulgato quel video assieme ad altri documenti militari coperti da segreto.

    Manning, durante la guerra in Iraq, lavorava nel servizio di intelligence Usa come analista. Proprio nella sua posizione di “infiltrata” ebbe la possibilità di trafugare i documenti riservati e di consegnarli a WikiLeaks.

    Manning è stata condannata a 35 anni di carcere nell’agosto del 2013. Durante la detenzione in carcere cambiò sesso e nome (da Bradley a Chelsea), oltre a tentare il suicidio per due volte. Viveva in una cella si 6 metri quadrati e le sue condizioni furono definite “disumane” da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

    Il 17 maggio 2017 venne scarcerata per effetto di una decisione di Barack Obama (si trattò di uno degli ultimi atti della sua presidenza).

    Julian Assange, se estradato negli Stati Uniti, rischierebbe una condanna ben più dura di quella di Manning.

    Dopo l’arresto dell’attivista, il presidente Moreno ha fatto sapere di aver chiesto e ottenuto garanzie alle autorità britanniche sul fatto che Assange non sarà estradato in un paese nel quale potrebbe essere vittima di tortura o pena di morte.

    Quanto all’indagine a carico di Assange per violenza sessuale, il caso si riferisce a un’accusa di stupro, molestie e coercizione illegale mossa al fondatore di WikiLeaks da due attiviste svedesi per i diritti delle donne.

    La Svezia aveva fatto domanda di estradizione al Regno Unito per poter processare Assange. Quest’ultimo, però, ha sempre temuto che dietro la richiesta del governo svedese ci fosse la mano degli Stati Uniti, pronti ad avanzare a loro volta una richiesta di estradizione.

    Per questo motivi Assange decise, nel 2012, di rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ottenendo il riconoscimento dell’asilo politico.

    Con il cambio della guardia al governo dell’Ecuador, e l’ascesa al potere di Lenín Moreno, la situazione per l’attivista è però decisamente cambiata.

    Moreno, negli ultimi mesi, aveva definito Assange un “hacker”, un “problema ereditario” e un “sasso nella scarpa”.

    Alla fine di marzo 2018 l’ambasciata aveva tolto ad Assange la connessione Internet dopo che l’ospite aveva “violato un impegno scritto preso con il governo alla fine del 2017 di non inviare messaggi che avrebbero potuto interferire con gli affari interni degli altri stati”.

    Il mutato clima politico ha così portato, giovedì 11 aprile 2019, al ritiro del diritto di asilo e al conseguente arresto.

    La polizia metropolitana di Londra ha dichiarato di aver proceduto all’arresto di Assange dopo essere stata invitata a farlo dall’ambasciata dell’Ecuador. La polizia  ha spiegato di aver preso in custodia il co-fondatore di WikiLeaks, il quale comparirà davanti alla corte dei magistrati di Westminster “appena possibile”.

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